- Pubblicato daGiampaolo Balas
- -Giugno 21, 2025
- -Diritto societario, News
Avvocati: cade il divieto di cancellazione durante il procedimento disciplinare

Il caso concreto
Un avvocato gravemente malato chiede di essere cancellato dall’Albo per poter accedere alle prestazioni previdenziali previste per l’inabilità, ma il Consiglio dell’Ordine glielo nega a causa di procedimenti disciplinari in corso. Il Consiglio Nazionale Forense aveva accolto il ricorso del professionista, ritenendo prevalente il diritto alla salute e alla dignità della persona rispetto all’interesse ordinistico, ma il Consiglio dell’Ordine aveva impugnato tale decisione davanti alla Cassazione.
L'iter processuale
Con Sentenza n. 70 del 23 maggio 2025, la Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, in merito all’art. 57 e all’art. 17, comma 16, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), nella parte in cui vietano la cancellazione dall’Albo degli Avvocati durante lo svolgimento di un procedimento disciplinare. Ritenendo che la norma non consentisse un’interpretazione costituzionalmente conforme, la Cassazione aveva rimesso gli atti alla Corte costituzionale, dubitando della legittimità delle disposizioni in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 35 e 41 della Costituzione. Questa divisione rende più chiara la distinzione tra il caso specifico che ha originato la questione e il percorso giuridico-processuale che ha portato alla pronuncia costituzionale.
Principi affermati dalla Corte costituzionale
Libertà di autodeterminazione (art. 2 Cost.)
Il divieto assoluto impedisce al professionista di recedere dall’Ordine anche in caso di grave impossibilità. L’iscrizione forzata contrasta con la libertà individuale e la dignità della persona.
Ragionevolezza e proporzionalità (art. 3 Cost.)
Il divieto non supera il test di proporzionalità. Esistono alternative meno lesive (come la sospensione della prescrizione disciplinare) che garantiscono comunque il perseguimento dell’interesse pubblico.
Libertà di lavoro (art. 4 Cost.)
Il divieto limita il diritto del professionista di interrompere l’attività e accedere a trattamenti previdenziali. La restrizione risulta sproporzionata e indefinita nel tempo.
Effetti della pronuncia
Dichiarata l’illegittimità degli artt. 57 e 17, comma 16, L. n. 247/2012. In assenza di nuove norme, la cancellazione comporta l’estinzione del procedimento disciplinare, che potrà essere riaperto in caso di reiscrizione, se non prescritto.
Considerazione finale
L’art. 57 della legge n. 247/2012, insieme all’art. 17, comma 16, era stato introdotto nella nuova disciplina dell’ordinamento forense con l’intento di evitare che il procedimento disciplinare potesse essere eluso attraverso la cancellazione volontaria dall’albo da parte del professionista sottoposto a giudizio. L’obiettivo era dunque quello di salvaguardare la funzione deontologica e pubblicistica della disciplina, garantendo la tenuta del sistema ordinistico.
Tuttavia, la sua formulazione assoluta e insuscettibile di eccezioni ha finito per comprimere in modo sproporzionato diritti fondamentali della persona. La pronuncia della Corte costituzionale apre ora a una nuova fase, in cui sarà il legislatore a dover intervenire per ristabilire un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla repressione delle condotte deontologicamente rilevanti e il rispetto della libertà, dignità e autodeterminazione del professionista.
Nel frattempo, la declaratoria di incostituzionalità comporta che il procedimento disciplinare si estingua in caso di cancellazione volontaria dell’iscritto, salvo che, in caso di futura reiscrizione, l’azione disciplinare non sia prescritta e possa dunque essere riattivata. Gli Ordini professionali dovranno vigilare con rigore per evitare abusi, in attesa di un nuovo intervento normativo che riequilibri il sistema.
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