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Frode fiscale e truffa aggravata: quando applichi l’art. 640 c.p.

a cura dell'avv. Anna Pizzini

Con la sentenza n. 28336-2025 del 11.07.2025 la Cassazione conferma che le condotte fraudolente finalizzate all’evasione fiscale rientrano esclusivamente nella normativa penale tributaria, salvo producano profitto ulteriore, autonomo e diverso dal mero vantaggio fiscale.

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul rapporto tra dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) e truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1 c.p.).

Premessa

 La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul rapporto tra dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) e truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1 c.p.).

Principio di specialità

La pronuncia della Corte di Cassazione del 11.07.2025 (Cass. n. 28336-2025) analizza il confine tra truffa aggravata e reati tributari, in particolare sulla dichiarazione infedele disciplinata dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. La vicenda coinvolge una frode sistematica finalizzata all’ottenimento indebito di rimborsi fiscali, con l’impiego di strutture fittizie e dati anagrafici alterati. Il cuore della decisione ruota attorno al principio di specialità, che pone limiti ben definiti all’utilizzo del reato di truffa in presenza di fattispecie tributarie specifiche. La sentenza conferma l’autosufficienza del sistema penale tributario e fornisce chiarimenti preziosi in tema di concorso apparente di norme.

I fatti contestati

Il caso prende le mosse da un’articolata attività illecita, organizzata attorno alla creazione di sedi CAF inesistenti e all’utilizzo di dichiarazioni dei redditi mod. 730 contenenti elementi fittizi, con lo scopo di ottenere rimborsi fiscali non spettanti. I contribuenti venivano reclutati attraverso una rete strutturata, e i dati sensibili raccolti in modo fraudolento. In un primo momento, la Procura aveva qualificato la condotta come truffa aggravata ai danni dello Stato. Tuttavia, il Tribunale del riesame ha ritenuto che la fattispecie correttamente applicabile fosse quella dell’art. 4 del D.Lgs. 74/2000, rientrando dunque nell’ambito della dichiarazione infedele.

La Cassazione ha confermato tale impostazione, richiamando l’orientamento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 – 01) secondo cui le condotte fraudolente rivolte all’evasione fiscale devono trovare sanzione esclusivamente nel diritto penale tributario. La norma generale sulla truffa non può essere impiegata in modo surrettizio per colmare lacune punitive o anticipare soglie di punibilità previste dal legislatore fiscale.

Il concorso apparente

Il tema è quello del concorso apparente di norme, istituto regolato dall’art. 15 c.p. Tale strumento consente di individuare la norma prevalente quando una stessa condotta appaia riconducibile a più disposizioni incriminatrici. In casi come questo, il principio di specialità assume una valenza decisiva: la norma tributaria, in quanto speciale, prevale su quella generale della truffa.

La giurisprudenza più attenta – e in particolare la già citata sentenza delle Sezioni Unite “Giordano” – ha sottolineato come il sistema penale tributario sia un ordinamento chiuso, completo e autosufficiente. Non solo contiene norme specifiche per le condotte di frode fiscale, ma delinea anche con precisione le soglie di punibilità e le modalità di accertamento. Invocare la truffa per reati tributari significherebbe, di fatto, violare il principio di legalità e alterare gli equilibri normativi voluti dal legislatore.

La Corte osserva anche che la complessità e la sistematicità dell’attività fraudolenta non possono di per sé giustificare una diversa qualificazione giuridica. È la condotta concretamente realizzata – e non il contesto nel quale si inserisce – che deve guidare l’applicazione della norma.

L’interpretazione della norma

Nel valutare la vicenda, i giudici di legittimità hanno escluso che gli artifici e i raggiri lamentati dalla pubblica accusa – come la creazione di CAF inesistenti e la falsificazione dei dati fiscali – potessero integrare gli elementi tipici della truffa. Il rimborso illecito, infatti, è stato ottenuto unicamente grazie alla falsa rappresentazione nella dichiarazione, cioè attraverso il mendacio sanzionato dal diritto penale tributario. L’Agenzia delle Entrate ha erogato le somme non per essere stata tratta in inganno da un meccanismo esterno, ma perché si è trovata a gestire un dato oggettivamente falso.

Anche sotto il profilo delle misure cautelari, la decisione della Corte appare coerente. Una volta stabilito che non si trattava di truffa, sono venute meno anche le obiezioni sul rischio di dispersione del denaro ottenuto illecitamente. La Cassazione ha inoltre dichiarato inammissibile il secondo motivo del ricorso, perché le critiche rivolte alla decisione del Tribunale non riguardavano una vera violazione di legge, che è invece l’unico motivo valido per impugnare in questi casi.

Conclusione

La sentenza della Corte di Cassazione conferma che quando una condotta è finalizzata esclusivamente a ottenere vantaggi fiscali tramite dichiarazioni infedeli, essa deve essere valutata nell’ambito della normativa penale tributaria, e non come truffa aggravata. Anche se il comportamento illecito si inserisce in un’attività organizzata e sistematica, ciò non basta a trasformarlo in un reato diverso da quello previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. Nel caso esaminato, l’ottenimento di rimborsi fiscali non dovuti è stato possibile solo grazie alla falsa indicazione di dati nella dichiarazione, senza ulteriori artifici idonei a trarre in inganno l’amministrazione. Per questo, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione del fatto come dichiarazione infedele e ha escluso la configurabilità della truffa aggravata. 

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