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Impugnazione di delibera di bilancio: tra abuso di maggioranza e limiti all’arbitrato

Con la sentenza n. 4806/2025 del 13 giugno 2025, il Tribunale di Milano ha affrontato un caso che si colloca tra le principali questioni giuridiche relative alla governance societaria: la validità delle delibere assembleari di approvazione del bilancio, la possibilità di deferire simili controversie ad arbitri e i presupposti per configurare un abuso di maggioranza.

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La fattispecie esaminata

La vicenda origina dall’impugnazione di una delibera assembleare di approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2021, deliberata il 6 maggio 2022 da una società consortile. L’impugnazione è stata promossa da un socio titolare del 43,90% del capitale sociale, il quale ha censurato la legittimità della delibera ritenendo che lo stralcio di una posta passiva di oltre due milioni di euro, iscritta nei precedenti esercizi come debito per “fatture da ricevere” proprio verso tale socio, fosse avvenuto in violazione dei principi sanciti dall’art. 2423 c.c. La parte attrice ha inoltre prospettato la sussistenza di un abuso di maggioranza, accusando il socio di controllo di avere perseguito finalità personali a danno della minoranza.

La società convenuta ha difeso la legittimità dell’operazione contabile, sostenendo che lo stralcio fosse motivato dalla mancanza di adeguata documentazione giustificativa e dalla conclusione dell’appalto oggetto del rapporto consortile, evidenziando come le verifiche interne avessero attestato la non debenza delle somme originariamente iscritte a bilancio.

La clausola compromissoria e l’inderogabilità del controllo giudiziale sul bilancio

Uno degli snodi centrali della decisione è rappresentato dalla questione preliminare relativa alla competenza. La società ha sollevato un’eccezione di incompetenza del Tribunale, richiamando una clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale che prevedeva la devoluzione ad arbitrato delle controversie insorte tra soci e società.

Il Tribunale ha tuttavia respinto l’eccezione, ribadendo un orientamento giurisprudenziale consolidato: le controversie aventi ad oggetto la validità delle delibere di approvazione del bilancio, quando fondate sulla violazione dei principi di chiarezza, verità e precisione nella redazione del bilancio, non possono essere sottratte alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. Si tratta infatti di controversie che incidono su diritti indisponibili e sono disciplinate da norme inderogabili, la cui osservanza è posta a presidio dell’ordine pubblico economico. La Cassazione ha più volte affermato tale principio (tra le altre, Cass. n. 12832/2018), chiarendo l’inefficacia di clausole arbitrali che pretendano di sottrarre al controllo del giudice la verifica della conformità del bilancio alle prescrizioni codicistiche.

Il riparto dell’onere probatorio nell’impugnazione di delibera di approvazione del bilancio

Sul piano sostanziale, la sentenza valorizza in modo rigoroso il tema dell’onere della prova. È stato ribadito come spetti al socio che impugna la delibera di approvazione del bilancio dimostrare l’esistenza del vizio lamentato, ossia provare con elementi concreti e documentali la non veridicità o la falsità delle poste contabili contestate.

In tale prospettiva, l’organo giudicante ha osservato che la semplice circostanza per cui una determinata posta fosse stata iscritta nei bilanci degli esercizi precedenti non può, di per sé, fondare una presunzione della sua necessaria permanenza nei successivi, soprattutto laddove siano intervenute verifiche contabili o ricognizioni documentali che ne abbiano accertato l’inesistenza o la diversa entità. Il principio di chiarezza e trasparenza del bilancio, sancito dall’art. 2423-bis c.c., risulta rispettato quando la variazione contabile venga adeguatamente illustrata nella nota integrativa. Nella fattispecie, l’attrice non ha prodotto fatture o altra documentazione idonea a comprovare la fondatezza del proprio credito, rendendo così insuscettibile di accoglimento la doglianza formulata.

La legittimità dello stralcio contabile alla luce del contratto e della ricognizione dei SAL

Particolare attenzione è stata dedicata dal Tribunale alla verifica delle ragioni che avevano condotto la società a procedere allo stralcio della posta passiva contestata. Dall’istruttoria è emerso che i lavori oggetto dell’appalto erano stati integralmente eseguiti e collaudati, con emissione dei SAL contrattualmente previsti, e che la società, anche in considerazione di una prospettiva liquidatoria, aveva avviato un’accurata ricognizione delle proprie poste creditorie e debitorie, riscontrando l’assenza di titoli giustificativi del debito verso il socio.

Il contratto di appalto prevedeva espressamente che i pagamenti dovessero essere effettuati esclusivamente sulla base dei SAL certificati, i quali avevano attestato un credito residuo del socio di gran lunga inferiore rispetto a quanto originariamente riportato nei bilanci. La variazione contabile risultava altresì compiutamente illustrata nella nota integrativa, assicurando così la trasparenza delle rettifiche apportate e il rispetto delle regole di veridicità e correttezza imposte dalla normativa civilistica.

L’assenza di abuso di maggioranza nella condotta assembleare

Quanto alla prospettata esistenza di un abuso di maggioranza, il Tribunale ha chiarito che tale figura si configura unicamente laddove la maggioranza eserciti il proprio diritto di voto perseguendo interessi personali o comunque estranei a quelli sociali, arrecando un pregiudizio ingiustificato ai soci di minoranza. Nel caso concreto, l’approvazione del bilancio è apparsa perfettamente coerente con l’interesse della società a rappresentare fedelmente la propria situazione patrimoniale e finanziaria, soprattutto in previsione di una potenziale cessazione dell’attività. Nessun elemento ha consentito di ravvisare finalità extra-sociali o un intento di ledere i diritti della minoranza, risultando pertanto infondata la censura sollevata.

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