- Pubblicato daPierpaolo Galimi
- -Giugno 1, 2025
- -Diritto societario, News
La Cassazione affronta l'estensione del fallimento al socio accomandante di una società in accomandita semplice, che, ingerendosi nella gestione societaria, ha violato il divieto di immistione previsto dall'art. 2320 c.c..

Il fatto contestato
Il socio accomandante di una società in accomandita semplice ha proposto reclamo avverso la sentenza che dichiarava il suo fallimento in estensione, ai sensi dell’art. 147, comma 2, l.fall., sostenendo di non aver svolto attività gestoria e che, comunque, mancavano i presupposti per la dichiarazione di fallimento. La Corte d’Appello ha respinto il reclamo, rilevando che il socio si era ingerito nella gestione societaria, compiendo atti di amministrazione in violazione dell’art. 2320 c.c., e che, pertanto, era divenuto responsabile illimitatamente per le obbligazioni sociali. La Corte di Cassazione ha confermato tale decisione, dichiarando inammissibile il ricorso. Dalle dichiarazioni dell’accomandataria e dalla documentazione acquisita in sede fallimentare, è emerso che il socio accomandante aveva esercitato in concreto funzioni gestorie proprie dell’amministrazione societaria. In particolare, egli era risultato il soggetto che gestiva i rapporti con clienti e fornitori, decideva sugli acquisti di materiali, firmava i contratti d’appalto per conto della società, curava la preventivazione dei lavori e la gestione del personale. Inoltre, era intestatario di deleghe bancarie e si occupava delle decisioni operative quotidiane. Tali comportamenti, in assenza di una procura speciale per singoli affari, hanno integrato una chiara violazione dell’art. 2320 c.c., comportando la perdita del beneficio della responsabilità limitata e l’assunzione di una responsabilità illimitata, con conseguente legittimità dell’estensione del fallimento. La valorizzazione delle partecipazioni tra continuità e correttezza contabile è divenuta così oggetto centrale della controversia.
L’estensione del fallimento (oggi liquidazione giudiziale) alla luce della riforma del Codice della Crisi d’Impresa
Responsabilità del socio accomandante per atti gestori e fallimento
L’art. 2320 c.c. stabilisce che i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. La violazione di tale divieto comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata e l’assunzione della responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali. La giurisprudenza ha chiarito che l’ingerenza deve consistere in un’attività gestoria che influenzi in misura apprezzabile l’amministrazione della società, sia sul piano interno che esterno. In particolare, è stato affermato che il socio accomandante che compia atti di gestione, anche in assenza di una formale investitura, assume la responsabilità illimitata prevista per i soci accomandatari.
Inoltre, l’art. 147, comma 2, l.fall., prevede che il fallimento della società si estende anche ai soci illimitatamente responsabili, e che la dichiarazione di fallimento dei soci non può essere pronunciata decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi tali fatti.
Ipotesi concrete di ingerenza gestionale del socio accomandante
Casi tipici di violazione del divieto di immistione:
– Firma di assegni bancari sul conto della società da parte del socio accomandante, in assenza di delega di cassa.
– Sottoscrizione di contratti in nome della società senza procura speciale.
– Assunzione di decisioni gestorie rilevanti, come la scelta di fornitori o la gestione del personale.
– Presenza attiva e continuativa nella gestione operativa quotidiana dell’impresa.
– Direzione o rappresentanza della società nelle relazioni con i clienti.
Estensione della liquidazione giudiziale al socio accomandante nel nuovo art. 256 CCII
Le innovazioni introdotte dall’art. 256 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) rispetto all’art. 147, comma 2, della Legge Fallimentare, assumono particolare rilievo in relazione alla figura del socio accomandante. In primo luogo, il comma 1 dell’art. 256 CCII specifica espressamente che la procedura di liquidazione giudiziale può essere estesa anche al socio accomandante che abbia perso il beneficio della responsabilità limitata per essersi ingerito nella gestione della società, in violazione del divieto sancito dall’art. 2320 c.c. Tale previsione, che nella normativa previgente era solo implicita, viene ora formalmente codificata, evidenziando con maggiore chiarezza la rilevanza della condotta gestoria effettiva del socio. In secondo luogo, il nuovo testo normativo amplia il novero dei soggetti legittimati a richiedere l’estensione della procedura. Oltre al curatore, possono proporre istanza anche il pubblico ministero, i creditori personali del socio e perfino lo stesso socio, configurando così una maggiore apertura procedurale e una più articolata tutela degli interessi coinvolti. Infine, l’art. 256 interviene in modo significativo anche sul piano processuale, chiarendo in modo puntuale chi debba necessariamente partecipare al giudizio, con particolare attenzione ai profili del contraddittorio e del litisconsorzio. Ciò si rivela fondamentale per evitare vizi procedurali, come quelli relativi all’eventuale mancata partecipazione dei creditori originari, e assicura una conduzione del processo conforme ai principi di equità e completezza del contraddittorio.
.
Condotte gestorie del socio accomandante e decorrenza del termine per l’estensione del fallimento
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha accertato che il socio accomandante si era ingerito nella gestione societaria, compiendo atti di amministrazione quali la firma di contratti, la gestione dei rapporti con clienti e fornitori, e la direzione dei dipendenti. Tali condotte sono state ritenute incompatibili con la qualifica di socio accomandante e idonee a far assumere al socio la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali. La Corte di Cassazione ha confermato tale valutazione, ritenendo inammissibile il ricorso per carenza di interesse e per difetto di autosufficienza, in quanto le questioni sollevate non erano state dedotte nei precedenti gradi di giudizio. Inoltre, la Corte ha ribadito che il termine annuale previsto dall’art. 147, comma 2, l.fall., decorre dall’iscrizione nel registro delle imprese della vicenda che determina il venir meno della responsabilità illimitata, e non dalla cessazione dell’ingerenza nella gestione
Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il socio accomandante che si ingerisce nella gestione societaria perde il beneficio della responsabilità limitata e diviene responsabile illimitatamente per le obbligazioni sociali, con conseguente estensione del fallimento ai sensi dell’art. 147 l.fall.
Autore
RIPRODUZIONE RISERVATA
Condividi: