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La decorrenza del termine per l’azione revocatoria fallimentare nel prisma della consecuzione tra procedure concorsuali: riflessioni a margine di Cass., Sez. I, 29 aprile 2025, n. 11224

di Marco Cavaliere

1. Premessa

La recente ordinanza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, n. 11224 del 29 aprile 2025, offre lo spunto per rinnovate riflessioni in tema di decorrenza del termine decadenziale per l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari. La decisione ribadisce, in modo chiaro e sistematicamente fondato, che il termine triennale previsto dall’art. 69-bis, comma 1, l. fall. decorre esclusivamente dalla dichiarazione di fallimento, anche nei casi in cui tale pronuncia sia preceduta dalla proposizione di una domanda di concordato preventivo, e dunque in ipotesi di consecuzione tra procedure concorsuali.

L’arresto si colloca nel solco di una giurisprudenza volta a preservare la certezza giuridica e la coerenza dogmatica del sistema delle azioni recuperatorie, contro ogni tentazione interpretativa che, sulla scorta di una lettura estensiva del principio di continuità tra procedure, finisca per anticipare l’an dies in assenza di effettiva legittimazione all’azione.


2. Il caso sottoposto al vaglio della Corte

Nel caso di specie, il commissario straordinario di una società in amministrazione straordinaria promuoveva azione revocatoria ex artt. 64 ss. l. fall. in relazione a tre pagamenti ricevuti da una controparte commerciale, in un periodo ritenuto sospetto. Il Tribunale di Bologna aveva rigettato la domanda ritenendola tardiva, sulla base dell’erronea individuazione del dies a quo nel giorno di pubblicazione della domanda di concordato, che aveva preceduto la dichiarazione di insolvenza. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva invece ricondotto la decorrenza al momento della dichiarazione giudiziale d’insolvenza, con conseguente tempestività dell’azione.


3. L’inapplicabilità della consecuzione al termine dell’art. 69-bis, comma 1

La Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte territoriale, ha chiarito che il termine di tre anni previsto dal primo comma dell’art. 69-bis l. fall. decorre dalla dichiarazione di fallimento – o, nei casi di amministrazione straordinaria, dalla dichiarazione giudiziale d’insolvenza ex art. 49, co. 2, d.lgs. n. 270/1999 – non potendo trovare applicazione alcuna anticipazione basata sul principio di consecuzione tra procedure.

La Suprema Corte esclude che tale principio, pur riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità e formalmente recepito dal legislatore (v. art. 69-bis, co. 2), possa operare in deroga al fondamentale precetto di cui all’art. 2935 c.c., secondo cui «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». Prima della dichiarazione di fallimento, l’azione revocatoria fallimentare è infatti non proponibile in concreto, difettando il soggetto legittimato ad agire, ossia il curatore.


4. Il discrimen tra periodo sospetto e termine d’azione

La Corte opera una netta distinzione, spesso trascurata in sede applicativa, tra il momento rilevante per il calcolo del periodo sospetto – per il quale è rilevante la pubblicazione della domanda di concordato (art. 69-bis, co. 2) – e il momento di decorrenza del termine decadenziale per l’esercizio dell’azione, che rimane quello della dichiarazione di fallimento. La diversa funzione delle due disposizioni esclude qualsivoglia automatismo nel traslare il dies a quo della decadenza a una fase anteriore all’apertura della procedura.


5. La nozione di “termini d’uso” e i presupposti dell’esenzione revocatoria

Merita rilievo anche la parte della decisione che si occupa del regime esentivo previsto dall’art. 67, comma 3, lett. a, l. fall. La Corte esclude che i pagamenti oggetto di causa – effettuati con ritardo e, in un caso, tramite un terzo estraneo al rapporto contrattuale – potessero qualificarsi come “effettuati nei termini d’uso”.

Viene così confermato l’orientamento secondo cui la regolarità dei pagamenti, non solo formale ma anche sostanziale, è condizione essenziale per l’operatività della causa di esenzione. Il pagamento ritardato, atipico o effettuato tramite debitor debitoris, non può mai rientrare nella nozione restrittiva di pagamento secondo “termini d’uso”, per sua natura riferita a prassi commerciali normali, stabili e tempestive.


6. Conclusioni

La pronuncia in commento si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale volto a garantire la certezza del diritto e la tutela dell’equilibrio della massa dei creditori, riaffermando un principio fondamentale in tema di azioni revocatorie fallimentari. In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito come il termine triennale per l’esercizio dell’azione ex art. 69-bis, comma 1, l. fall. non possa che decorrere dalla dichiarazione di fallimento (o di insolvenza, nei casi speciali), giacché solo a partire da tale momento l’azione diviene giuridicamente esercitabile da parte del curatore, in quanto soggetto titolare della legittimazione attiva.

Il principio generale desumibile dall’art. 2935 c.c. – secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere – viene pertanto trasfuso anche sul piano della decadenza processuale, precludendo qualsiasi anticipazione del termine in ragione di eventuali fasi prodromiche della crisi d’impresa, quali la presentazione di una domanda di concordato preventivo. La regola così affermata garantisce l’equilibrio tra l’interesse della massa alla conservazione dell’attivo e quello del convenuto a non restare indefinitamente esposto a pretese recuperatorie.

Come sintesi normativa e logico-sistematica del principio affermato, la Corte ha enunciato la seguente massima:

«La decorrenza del termine triennale ex art. 69 bis, comma 1, L. fall., previsto per l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari, deve individuarsi nella dichiarazione di fallimento, posto che prima di tale momento, che coincide con la nomina del curatore fallimentare, l’azione non sarebbe in concreto esercitabile, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2935 c.c.; tale regola non trova eccezione neppure nel caso in cui la pronuncia di fallimento si collochi in consecuzione rispetto ad una domanda di concordato preventivo».

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