- Pubblicato daPierpaolo Galimi
- -Agosto 26, 2025
- -Contenzioso Civile e Arbitrati, Crisi d’impresa, Diritto societario, News
Tutti gli elementi da provare per l'azione di responsabilità verso l'amministratore di società
a cura dell'Avv. Pierpaolo Galimi

Premessa
La recente sentenza n. 6406 del 6.2.2025 del Tribunale di Milano offre un esempio di rigorosa applicazione dei principi che governano la responsabilità dell’amministratore di una SRL, poi dichiarata fallita, in materia di mala gestio e distrazione di attivi.
L’azione di responsabilità, disciplinata dall’art. 2476 c.c. e, in caso di insolvenza, esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.fall. (oggi art. 255 del Codice della Crisi), ha una natura contrattuale. Tale inquadramento giuridico è cruciale poiché definisce la ripartizione dell’onere della prova secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 13533/2001). Di conseguenza, spetta all’attore (la società o il curatore) l’onere di allegare gli specifici inadempimenti, provare l’esistenza di un danno e dimostrare il nesso di causalità tra la condotta e il pregiudizio.
Grava invece sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare che il danno non è a lui imputabile, avendo agito con la diligenza richiesta, precisando inoltre come, nelle ipotesi di distrazione di risorse, una volta che l’attore abbia provato la fuoriuscita di disponibilità patrimoniali dalla società, spetti interamente all’amministratore fornire la prova rigorosa della loro legittima destinazione a finalità sociali. Nel caso di specie, a fronte di precise contestazioni circa la cessione gratuita di un ingente credito e l’esecuzione di pagamenti privi di giustificazione, la mancata prova da parte dell’amministratore ne ha consacrato la natura distrattiva, fondando la condanna al risarcimento.
I fatti oggetto di giudizio
La controversia trae origine dall’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare della società “Alfa S.r.l.” nei confronti del suo ex amministratore unico al quale sono stati contestati tre distinti profili di mala gestio. Il primo e più rilevante addebito concerne una complessa operazione distrattiva, in palese conflitto di interessi, che ha generato un danno patrimoniale di € 408.000,00
Nello specifico, l’amministratore ha utilizzato tale somma, erogata dalla società a titolo di acconto per un’acquisizione poi non perfezionata, cedendone il relativo credito a titolo gratuito a una terza società (“Gamma S.r.l.”) al solo fine di estinguere un proprio debito personale di pari importo verso quest’ultima, sorto per l’acquisto delle sue stesse quote di partecipazione in Alfa.
Il secondo profilo di addebito riguarda ulteriori pagamenti, qualificati come distrattivi per assenza di valida causa economica, per un danno complessivo di € 190.736,84; tale importo include bonifici per € 125.000,00 a favore della medesima società Gamma, le cui giustificazioni come acconti per consulenze sono state smentite dai contratti, e un versamento di € 69.012,00 sul conto personale dell’amministratore, del quale solo € 3.275,16 sono stati documentati come spesa sociale.
Infine, è stata contestata la violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2485 e 2486 c.c., avendo l’amministratore proseguito l’ordinaria attività d’impresa nonostante la perdita integrale del capitale sociale, una condizione occultata mediante l’iscrizione in bilancio di crediti fittizi che mascheravano un patrimonio netto reale negativo. Sebbene quest’ultima condotta abbia aggravato il dissesto, l’accertamento rafforza il quadro di grave negligenza gestoria, anche se la domanda risarcitoria del curatore si è strategicamente concentrata sulle sole distrazioni patrimoniali dirette.
La decisione del Tribunale di Milano
L’azione esercitata dalla curatela, ai sensi dell’art. 146 della Legge Fallimentare, cumula in sé sia l’azione sociale di responsabilità (art. 2476 c.c.), volta a reintegrare il patrimonio della società leso dalla condotta illecita, sia l’azione spettante ai creditori sociali (art. 2394 c.c.) per la violazione della garanzia patrimoniale generica. Al centro della valutazione del Collegio vi è il dovere di diligenza imposto all’amministratore, il quale è tenuto ad adempiere agli obblighi di legge e di statuto con la professionalità richiesta dalla natura dell’incarico. Tale dovere si declina primariamente nell’obbligo di conservazione del patrimonio sociale e nel divieto di agire in conflitto di interessi, perseguendo un interesse proprio o di terzi in contrasto con quello della società. La pronuncia richiama, inoltre, la disciplina specifica degli artt. 2484 e 2486 c.c., che, al verificarsi di una causa di scioglimento come la perdita del capitale, impongono agli amministratori di cessare ogni nuova operazione e di limitare la gestione alla mera conservazione del valore aziendale in vista della liquidazione.
In aderenza a tali principi, il Tribunale ha applicato un criterio di ripartizione dell’onere della prova. Richiamando il consolidato orientamento della Cassazione, ha ribadito che, data la natura contrattuale dell’azione, spetta all’attore (la curatela) allegare l’inadempimento, il danno e il nesso causale. Incombe, invece, sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare di aver agito diligentemente o che il fatto dannoso non gli è imputabile. Con specifico riferimento alle contestazioni di natura distrattiva, una volta che la curatela ha provato la fuoriuscita di risorse dall’attivo sociale, spetta all’amministratore fornire la prova positiva della loro legittima destinazione a scopi d’impresa.
Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che l’amministratore non abbia assolto tale onere. A fronte della documentazione prodotta dalla curatela, non è stata fornita alcuna valida giustificazione né per la complessa operazione sul credito, che celava un evidente conflitto di interessi finalizzato all’acquisto delle proprie quote con fondi sociali, né per i bonifici effettuati nel 2009 e 2014, risultati privi di contropartita economica. Di cruciale importanza è stato, inoltre, il richiamo all’art. 115 c.p.c.: la genericità delle contestazioni dell’amministratore è stata interpretata dal Tribunale come una mancata contestazione specifica, con la conseguenza di ritenere pienamente provati i fatti allegati dalla curatela, inclusa la prosecuzione dell’attività tramite bilanci fittiziamente redatti.
All’esito del giudizio, il Tribunale ha quindi accolto integralmente la ricostruzione del curatore, accertando la piena responsabilità dell’amministratore per tutti gli addebiti e quantificando un danno complessivo provato pari a € 598.736,84 (risultante dalla somma di € 408.000,00 per l’operazione in conflitto di interessi e € 190.736,84 per i pagamenti ingiustificati). Tuttavia, in ossequio al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), la condanna è stata limitata all’importo richiesto in via principale dal curatore, pari a € 194.012,00 a seconda della formulazione della domanda finale, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali.
Conclusioni
In conclusione, la sentenza del Tribunale di Milano n. 6406/2025 conferma la natura contrattuale dell’azione ex art. 2476 c.c. e, conseguentemente, la ripartizione dell’onere probatorio secondo i principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, nei casi di contestata distrazione patrimoniale, spetta all’attore allegare l’inadempimento, il danno e il nesso causale, mentre incombe sull’amministratore l’onere di dimostrare in modo positivo la legittima destinazione delle risorse. La prosecuzione dell’attività in presenza di una causa di scioglimento, in violazione degli artt. 2485 e 2486 c.c., rappresenta un ulteriore profilo di responsabilità idoneo ad aggravare il dissesto, anche se la domanda risarcitoria risulti circoscritta alle sole distrazioni patrimoniali accertate. Significativo, inoltre, è il richiamo all’art. 115 c.p.c., in quanto la genericità delle difese dell’amministratore è stata equiparata a una mancata contestazione specifica dei fatti allegati dalla curatela, con effetti determinanti sul piano probatorio.
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