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La Responsabilità dei Sindaci per danni diretti nei confronti dei terzi

Limiti e oneri probatori nell’azione risarcitoria ex art. 2395 c.c. contro i sindaci

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La Responsabilità dei Sindaci per danni diretti nei confronti dei terzi

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 1150/2025, ha esaminato una complessa vicenda relativa alla responsabilità degli organi di controllo (sindaci) di una società fallita, in relazione ai danni lamentati da un terzo (utilizzatore di un contratto di leasing collegato a un appalto) ex art. 2395 c.c. La causa trae origine da una domanda di risarcimento per l’inadempimento contrattuale derivante dalla costruzione incompleta di un’imbarcazione, connesso a presunti comportamenti illeciti degli amministratori e alla mancata vigilanza dei sindaci. L’articolo esamina i profili giuridici centrali: la legittimazione del terzo, il nesso causale, la decettività dei bilanci e i limiti dell’azione ex art. 2395 c.c.

La genesi del contenzioso

L’attore, terzo rispetto alla società appaltatrice, sostiene di aver subito un danno per inadempimento del contratto di costruzione di un’imbarcazione, aggravato da condotte dolose o colpose degli amministratori e dall’omessa vigilanza del collegio sindacale. Propone, quindi, l’azione ex art. 2407 c.c. (omessa vigilanza) in combinato con l’art. 2395 c.c., chiedendo il risarcimento del danno direttamente subito nella sua sfera patrimoniale.

In tema di responsabilità degli organi sociali, l’art. 2395 c.c. prevede che “le disposizioni che regolano l’azione di responsabilità contro gli amministratori non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante … al terzo, quando sia stato direttamente danneggiato da atti dolosi o colposi degli amministratori”. Questo meccanismo introduce un’azione individuale rispetto a quella sociale o dell’ente.

La legittimazione del terzo – non socio – è quindi condizionata alla configurabilità di un danno diretto, distinto da quello generalizzato al patrimonio sociale. In assenza di tale danno diretto, l’interesse leso rientra nella massa dei creditori e può essere tutelato in via concorsuale (ad esempio attraverso l’azione esperita dal curatore fallimentare). La dottrina e la giurisprudenza sottolineano che l’azione individuale non richiede necessariamente il depauperamento del patrimonio sociale (come presupposto dell’azione sociale), ma la lesione di una posizione giuridica autonoma del terzo

Va evidenziato che la giurisprudenza di legittimità ha spesso distinto il danno “riflesso” (derivante dal danno al patrimonio sociale) dal danno “diretto” (colpente la sfera patrimoniale del terzo), con conseguente esclusione dell’azione individuale nei casi in cui il danno si risolva in mera conseguenza del dissesto societario

Un esempio sintetico:

Tipo di danno

Nesso con l’illecito

Azione esperibile

Danno diretto — es. condotta dolosa che altera il bilancio su cui il terzo ha fondato l’investimento

immediato e autonomo rispetto al patrimonio sociale

azione ex art. 2395 c.c.

Danno riflesso — riduzione del patrimonio sociale con conseguente inadempimento contrattuale

mediato, non diretto

azione collettiva o del curatore fallimentare

 

Nel caso concreto, l’attore ha sostenuto che i bilanci alterati abbiano creato un affidamento ingiusto, inducendolo a impegni contrattuali. Tuttavia, l’analisi giuridica richiede che si dimostri non solo l’errore contabile, ma anche che tale errore sia stato effettivamente percepibile e decisivo nella scelta del contratto, e che i sindaci – con un’azione diligente – avrebbero potuto prevenire il danno.

La decettività dei bilanci, il nesso causale e l’onere probatorio

Perché un bilancio possa indurre in errore, deve essere “decettivo” — ossia non soltanto viziato, ma tale da formare un’immagine fuorviante, suscettibile di creare un affidamento ragionevole nel terzo destinatario. La giurisprudenza richiede che l’errore contabile sia effettivamente percepibile, cioè che emergano elementi contabili tali da mettere in allarme un lettore attento e professionale.

Nel caso scrutinato dal Tribunale di Milano, è emerso che il bilancio 2014 – l’unico ufficialmente disponibile prima del contratto – mostrava già segnali di squilibrio, tali da rendere inverosimile un’immagine idealmente solida della società. L’esistenza di tali indici critici ha inciso sul convincimento che l’affidamento potesse considerarsi fondato, riducendo l’efficacia persuasiva dell’estrinsecazione contabile. Da ciò il giudice ha tratto la conclusione che non fosse possibile imputare al bilancio la capacità di generare un errore rilevante sul terzo.

Il nesso causale richiesto per l’azione ex art. 2395 c.c. non è un mero aggancio temporale: deve essere dimostrata la relazione di causa-effetto tra la condotta dolosa o colposa e il danno lamentato, nella sfera del terzo. In particolare, occorre che l’omissione dei sindaci abbia potuto in concreto anticipare o impedire la condotta lesiva

Il Tribunale ha rilevato che l’attore non ha fornito elementi probatori che dimostrassero che, in caso di un controllo diligente, i sindaci avrebbero potuto scorgere le sovrafatturazioni o le difformità tra SAL e stato dei lavori – cioè non è stato dimostrato che i sindaci fossero nella posizione tecnica, informativa e temporale per prevenire o correggere il danno. In pratica, mancava una previsione concreta della condotta omissiva, differenziata dalla mera mancanza generica di vigilanza.

Inoltre, il giudice ha valorizzato la rilevanza dei legami personali tra attore e amministratori, reputandoli determinanti nella decisione contrattuale. Tali relazioni hanno ridotto l’incidenza delle informazioni contabili formali nella scelta del terzo, attenuando ulteriormente l’efficacia causale attribuibile all’eventuale omissione del controllo da parte dei sindaci.

In tema di responsabilità degli organi sociali, il terzo attore ha l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi della propria domanda: la condotta violativa, il danno e il nesso di causalità. Al convenuto (qui i sindaci) spetta di dimostrare che l’evento non è imputabile alla propria condotta, ovvero che ha adempiuto ai doveri con la diligenza richiesta.

Nel caso in esame, la prova – secondo il Tribunale – è risultata insufficiente. Non è stato realizzato un percorso probatorio che illustri in modo preciso e attendibile come i sindaci avrebbero dovuto comportarsi e come la loro condotta avrebbe potuto impedire le condotte lesive. L’assenza di mezzi tecnici preventivamente disponibili e di indizi contabili decisivi ha pesato negativamente sulla domanda risarcitoria

La valutazione del tribunale ed il rigetto della domanda

Il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria, ritenendo non adeguatamente dimostrato il nesso causale tra l’asserita omessa vigilanza dei sindaci e il danno lamentato dall’attore. La pronuncia ha evidenziato come il bilancio dell’esercizio chiuso al 30 giugno 2014, l’unico disponibile anteriormente alla stipula contrattuale del luglio 2015, presentasse già elementi di squilibrio economico e patrimoniale tali da escludere una rappresentazione ingannevolmente positiva della società. In tale contesto, l’affidamento manifestato dall’attore su tale documento contabile è stato ritenuto non giustificabile, tanto più in considerazione della sua esperienza imprenditoriale e della conoscibilità tecnica di quegli indici critici.

Il giudice ha inoltre valorizzato la rilevanza determinante dei rapporti personali intercorrenti tra l’attore e alcuni amministratori della società fallita, considerati il vero motore decisionale della scelta contrattuale, più che non i dati formalmente emergenti dal bilancio. Tale circostanza ha rafforzato la conclusione dell’irrilevanza delle omissioni imputate ai sindaci nella genesi del danno lamentato.

Con riferimento al secondo profilo di responsabilità, relativo alle sovrafatturazioni dei lavori di costruzione dell’imbarcazione e al conseguente pagamento di tranche contrattuali sproporzionate rispetto allo stato effettivo dell’opera, il Tribunale ha osservato l’assenza di elementi oggettivi che dimostrassero la conoscibilità da parte dei sindaci di tali pratiche. La mancanza di evidenze contabili specifiche e la regolarità apparente dei SAL giustificavano, secondo il giudice, l’impossibilità per i sindaci di esercitare un controllo effettivo e impeditivo di tali condotte.

Ne consegue che l’omissione lamentata non poteva assurgere a causa efficiente del danno subito dall’attore, difettando del requisito dell’efficacia causale diretta e specifica richiesto dall’art. 2395 c.c. per l’affermazione della responsabilità dei sindaci.

Conclusioni

La pronuncia del Tribunale di Milano si colloca all’interno di un orientamento interpretativo rigoroso dell’art. 2395 c.c., che mira a salvaguardare l’equilibrio tra tutela del terzo e stabilità del sistema societario. Il giudice ha confermato che non è sufficiente l’asserita inadempienza della società o una disfunzione gestionale generica: occorre un’illecita condotta specificamente imputabile agli amministratori o ai sindaci, che abbia effettivamente prodotto un danno nella sfera patrimoniale del terzo e che fosse prevedibile e controllabile dai revisori interni.

La decisione contribuisce a definire con maggiore chiarezza i confini dell’azione individuale nei confronti dei sindaci: non basta lamentare un dissesto aziendale, ma è necessario dimostrare:

  • che i bilanci o le informazioni societarie fossero decettivi e utilizzabili dal terzo per compiere scelte patrimoniali;
  • che la condotta omissiva dei sindaci fosse specificamente individuabile e dotata di capacità preventiva;
  • che il danno lamentato sia collegabile in modo diretto, non mediato, all’omissione contestata.

In mancanza di tali elementi, il sistema giuridico tende a richiedere che la tutela del danno ricada nella sfera concorsuale (ad esempio attraverso l’azione del curatore fallimentare). A tale riguardo, la pronuncia offre un utile paradigma per operatori e giuristi nella valutazione preventiva dei rischi di responsabilità del collegio sindacale in contesti societari complessi

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