La sentenza in esame affronta il tema della revoca anticipata dell’amministratore di una S.p.A. intervenendo sulle condizioni nelle quali lo stesso può legittimamente rivendicare un indennizzo
Il caso
Il Tribunale di Milano, accertata l’intervenuta revoca dell’amministratore di una S.p.A. senza giusta causa, ha accolto parzialmente la sua domanda di risarcimento. In questo caso il danno è stato parametrato al compenso che l’ex amministratore avrebbe percepito nel periodo ragionevolmente necessario a reperire un altro incarico simile, equitativamente stimato in non più di sei mesi.
Legittimità della revoca dell'amministratore ad nutum
L’art. 2383 c.c. consente all’assemblea dei soci della S.p.A. di revocare ad nutum i membri dell’organo amministrativo. Tale decisione è adottabile liberamente e senza che il revocato vi si possa opporre.
Ne consegue che l’amministratore non ha alcun diritto alla permanenza nel suo ruolo, né alla stabilità dell’incarico, indipendentemente dal fatto che sia stato nominato per un periodo determinato o indeterminato.
La pronuncia in esame esclude, quindi, la sindacabilità della delibera di revoca, con la conseguente possibilità per i soci di rimuovere legittimamente un amministratore anche senza giusta causa. In altre parole, non occorre che siano accertati comportamenti deficitari o comunque pregiudizievoli nello svolgimento del mandato.
Recesso dell’amministratore e limiti all’insindacabilità della scelta
L’insindacabilità della scelta di revocare un amministratore incontra un limite laddove nella delibera assembleare non siano indicate le ragioni che hanno determinato tale decisione. L’omissione di tali motivazioni potrebbe infatti legittimare il diritto dell’amministratore revocato a richiedere il risarcimento del danno. Il Tribunale di Milano ha stabilito che l’assenza di motivi giustificativi implica automaticamente che la revoca sia considerata priva di giusta causa, poiché le carenze dell’atto deliberativo non possono essere sanate in sede giudiziaria. Inoltre, il giudice non può sostituirsi all’assemblea per valutare l’incidenza delle condotte contestate all’amministratore sul rapporto fiduciario.
Danno da revoca e onere della prova
La sentenza ha chiarito che l’esercizio delle funzioni gestorie non è assimilabile a un rapporto di lavoro subordinato o a una collaborazione. Di conseguenza, spetta all’amministratore dimostrare l’esistenza e l’entità del danno subito, in conformità agli articoli 1223 e 2967 c.c. Generalmente, il danno è quantificato nella perdita del compenso che l’amministratore avrebbe percepito nel periodo necessario per ottenere un nuovo incarico con condizioni economiche simili.
Considerazioni finali
La tematica della revoca degli amministratori e del relativo potere discrezionale (ad nutum) dell’assemblea è complessa e varia. Si tratta di una decisione unilaterale a cui il destinatario non può in alcun modo opporsi e che può essere deliberata anche in assenza di inadempimenti o comportamenti illegittimi che abbiamo potuto far sorgere un danno per la società. L’unico strumento a tutela del diritto dell’amministratore rimosso è chiedere il risarcimento del danno quando la revoca sia stata deliberata senza giusta causa. In questo contesto, merita una riflessione ulteriore la clausola statutaria “simul stabunt, simul cadent” e se questa possa essere considerata come revoca indiretta degli amministratori con conseguente deroga dei poteri spettanti all’assemblea. La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione (Cass. 97/8612, Cass. 90/2197) che, ritendo legittima la suddetta clausola, ha escluso ogni revoca indiretta di consiglieri, per cui tale revoca spetta solo all’assemblea dei soci che detiene il diritto di conferma degli amministratori.