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Marco Cavaliere

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La nota di variazione IVA nelle procedure di concordato preventivo: la risposta n. 234/2025 dell’Agenzia delle Entrate tra consecuzione e facoltà di emissione

di Marco Cavaliere 1. Premessa sistematica Con la risposta a interpello n. 234 del 9 settembre 2025, la Divisione Contribuenti dell’Agenzia delle Entrate ha fornito un articolato chiarimento in ordine all’applicabilità dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 in tema di note di variazione in diminuzione dell’imposta sul valore aggiunto nell’ambito delle procedure di concordato preventivo, con particolare riguardo ai rapporti tra il principio della consecuzione e la facoltà riconosciuta al creditore di scegliere il momento per il recupero dell’imposta non incassata. La pronuncia si inserisce nel solco del percorso di adeguamento dell’ordinamento interno alla giurisprudenza unionale e alle modifiche introdotte dal D.L. n. 73/2021 (c.d. “Sostegni-bis”), che hanno inciso profondamente sulla disciplina temporale di esercizio del diritto alla variazione in diminuzione. 2. I fatti oggetto dell’istanza La società Alfa, operante nel settore del commercio di articoli sportivi, rappresentava di vantare un credito commerciale nei confronti della società Beta, attiva nel comparto retail, la quale – a seguito di una crisi finanziaria – aveva presentato domanda di concordato preventivo nel dicembre 2020, ammessa con decreto del settembre 2021 e successivamente revocata nell’aprile 2022. In data giugno 2022, Beta proponeva una nuova istanza di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall., poi trasformata in concordato in continuità aziendale, con un piano di adempimento sino al 31 dicembre 2027. Tale procedura veniva ammessa con decreto del settembre 2023 e omologata nel giugno 2024. Alla luce dell’omologa, il credito di Alfa risultava parzialmente soddisfatto con una falcidia percentuale, residuando una quota di credito definitivamente non recuperabile. Da ciò l’istanza all’Agenzia delle Entrate, volta a conoscere: 3. La soluzione prospettata dal contribuente La società istante, escludendo che tra le due procedure di concordato potesse configurarsi consecuzione temporale, riteneva applicabile la disciplina novellata dal D.L. 73/2021, ma sosteneva di poter attendere la conclusione della procedura concordataria prima di emettere la nota di credito, in quanto solo in tale momento si sarebbe consolidata la ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore. A suo avviso, dunque, la conclusione infruttuosa del concordato, attestata dal piano di riparto o dal decreto di omologa, avrebbe potuto costituire un autonomo presupposto per la variazione in diminuzione ai sensi dell’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972. 4. Il ragionamento dell’Amministrazione finanziaria 4.1. Evoluzione normativa dell’art. 26 D.P.R. 633/1972 L’Agenzia ha preliminarmente ricostruito l’evoluzione dell’art. 26, ricordando come, nella formulazione previgente, l’emissione della nota di variazione per mancato pagamento dovuto a procedure concorsuali fosse subordinata alla conclamata infruttuosità della procedura. Tale impostazione era stata censurata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16), che ha escluso la possibilità per gli Stati membri di subordinare la riduzione della base imponibile IVA alla conclusione di una procedura concorsuale di lunga durata, in violazione del principio di neutralità dell’imposta. In recepimento di tale indirizzo, l’art. 18 del D.L. 73/2021 ha introdotto i commi 3-bis e 10-bis dell’art. 26, anticipando il dies a quo dell’emissione della nota di variazione al momento di apertura della procedura concorsuale del debitore.L’Agenzia ha richiamato, sul punto, la circolare n. 20/E del 2021, che ha interpretato la novella come strumento di semplificazione e accelerazione del recupero dell’imposta. 4.2. Il principio di consecuzione tra procedure concorsuali Con riferimento al primo quesito, la risposta n. 234/2025 ha escluso l’operatività del principio di consecuzione tra le due procedure di concordato avviate dalla società Beta, sottolineando che tale principio, disciplinato dall’art. 69-bis, comma 2, l. fall. (oggi art. 170, comma 2, CCII), presuppone la confluenza di una procedura minore in una successiva liquidazione giudiziale, non la mera successione di due concordati. La giurisprudenza di legittimità – si cita Cass. 11 giugno 2019, n. 15724 – ha chiarito che la consecuzione richiede la unicità della causa e non può desumersi dal solo dato cronologico.Nel caso di specie, essendo le due procedure autonome, l’Agenzia ha individuato il riferimento temporale nella data di avvio della seconda procedura (2022), successiva al 26 maggio 2021, con conseguente applicazione del testo novellato dell’art. 26. 4.3. La facoltà di scelta del creditore tra commi 3-bis e 2 Quanto al secondo quesito, l’Amministrazione ha ribadito che il comma 3-bis riconosce al creditore la facoltà (non l’obbligo) di emettere la nota di variazione sin dall’apertura della procedura concorsuale.Tuttavia, se il creditore ritiene più opportuno insinuarsi al passivo e attendere l’esito della procedura, egli conserva la possibilità di avvalersi del comma 2 qualora la procedura si riveli infruttuosa. Richiamando la risposta a interpello n. 485/2022, l’Agenzia ha affermato che la definitività del piano di riparto infruttuoso o la constatazione del mancato pagamento integrale del corrispettivo costituiscono un autonomo presupposto per l’emissione della nota di variazione ai sensi del comma 2.In tale ipotesi, la variazione è ammessa in quanto l’obbligazione originaria viene meno ex tunc in conseguenza dell’assetto giuridico rideterminato dal provvedimento di omologa o dall’esito negativo del riparto. 5. La conclusione dell’Agenzia delle Entrate La risposta si chiude con tre affermazioni di principio: L’Agenzia, pertanto, condivide integralmente la soluzione prospettata dall’istante. 6. Considerazioni conclusive La Risposta n. 234/2025 assume rilievo sistematico perché conferma l’esistenza di un doppio binario operativo in materia di variazioni IVA: Tale impostazione garantisce coerenza con i principi di neutralità e proporzionalità dell’imposta, consentendo al creditore di calibrare il momento del recupero dell’IVA in funzione della strategia concorsuale e della prevedibile capienza del debitore. La posizione dell’Amministrazione, inoltre, delimita rigorosamente il campo di applicazione del principio di consecuzione, la cui estensione ai rapporti tra più concordati viene negata salvo un accertamento giudiziale di unicità di causa, confermando la autonomia giuridica e temporale di ciascuna procedura. In definitiva, la pronuncia consente di affermare che, in caso di concordato preventivo infruttuoso, la nota di variazione IVA potrà essere emessa legittimamente al termine della procedura, quando il mancato pagamento risulti definitivo, costituendo tale momento l’unico idoneo a fondare il diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’art. 26, comma 2, D.P.R. n. 633/1972. Autore Marco Cavaliere

Lo scioglimento del rapporto contrattuale per effetto del fallimento e la proponibilità dell’eccezione di inadempimento: nota a Cass., Sez. I, 13 ottobre 2025, n. 27361

Marco Cavaliere 1. Premessa. – La fattispecie Con l’ordinanza n. 27361 del 13 ottobre 2025 (Pres. Pazzi, Est. Amatore), la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione è tornata ad affrontare la delicata questione degli effetti che lo scioglimento del contratto, determinato dal fallimento di una delle parti, produce sul diritto del contraente in bonis e del curatore di opporre l’eccezione di inadempimento in sede di verifica del passivo. La vicenda traeva origine dall’opposizione proposta da una società di revisione avverso il decreto di esclusione, pronunciato dal giudice delegato, del credito insinuato a titolo di compenso per l’attività di revisione legale dei conti svolta a favore di una società poi dichiarata insolvente.La curatela (nella specie, una procedura di amministrazione straordinaria) aveva eccepito l’inadempimento parziale e l’esecuzione non diligente della prestazione professionale, lamentando, in particolare, gravi carenze nella revisione dei bilanci e nell’attestazione dei vincoli finanziari.Il Tribunale di Verona, con decreto del 17 marzo 2023, accoglieva solo parzialmente l’opposizione, ammettendo al passivo il credito in misura ridotta e in chirografo, rigettando altresì la pretesa al riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. La società opponente proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 1460 c.c., assumendo che, una volta sciolto il contratto per effetto del fallimento, non sarebbe più consentito sollevare l’eccezione di inadempimento, istituto funzionale alla conservazione del vincolo negoziale. 2. L’efficacia ex nunc dello scioglimento del contratto e la persistenza dell’eccezione di inadempimento La Suprema Corte respinge il ricorso, riaffermando un principio di diritto di significativa rilevanza sistematica: «Anche laddove il contratto si sciolga per l’intervenuto fallimento di una delle parti, poiché tale scioglimento ha efficacia ex nunc, ciascuna parte e il curatore del fallimento possono sempre rifiutare il pagamento delle opere e dei servizi per la parte non eseguita o non eseguita a regola d’arte, sollevando eccezione di inadempimento, in quanto ragionando diversamente si imporrebbe al debitore di pagare per intero le prestazioni ricevute, pur se in tutto o in parte non eseguite esattamente». Il dictum si pone in linea di continuità con Cass. Sez. I, 20 novembre 2015, n. 23810, e conferma che lo scioglimento del rapporto contrattuale a seguito della dichiarazione di fallimento non cancella retroattivamente gli effetti già prodotti, ma opera ex nunc, lasciando intatti i diritti e le eccezioni maturate sino a quel momento. Ne consegue che il curatore, chiamato a verificare le pretese creditorie relative a prestazioni professionali rese in esecuzione del contratto poi sciolto, può legittimamente opporre l’inadempimento parziale o imperfetto del contraente, negando il pagamento delle somme pretese per la parte non regolarmente adempiuta. Il principio appare coerente con la logica della par condicio creditorum e con il canone di economicità della gestione fallimentare: la procedura non può sopportare l’onere integrale di prestazioni non eseguite correttamente, pena l’ingiustificato arricchimento del creditore professionista. 3. La funzione dell’eccezione di inadempimento nella fase concorsuale La sentenza in commento offre altresì lo spunto per ribadire la funzione non solo conservativa, ma anche difensiva dell’eccezione di inadempimento, intesa quale strumento di autotutela volto a impedire che il debitore sia costretto a corrispondere il prezzo di una prestazione imperfetta. L’argomento difensivo della ricorrente, secondo cui l’eccezione ex art. 1460 c.c. presupporrebbe un contratto ancora in corso di esecuzione, è respinto con motivazione logico-sistematica: l’eccezione non persegue necessariamente la conservazione del vincolo, ma può essere utilmente sollevata anche a rapporto sciolto, al solo fine di paralizzare la pretesa di controparte per prestazioni inesatte. La Corte valorizza così una lettura sostanziale dell’istituto, che travalica il piano statico del sinallagma contrattuale per proiettarsi in quello dinamico dell’equilibrio tra le prestazioni, anche dopo la cessazione del vincolo negoziale. 4. L’onere probatorio e il ruolo della consulenza tecnica d’ufficio Sotto il profilo processuale, la decisione conferma l’orientamento secondo cui, nell’ambito dell’opposizione allo stato passivo, il creditore opponente è onerato della prova dell’esistenza del credito e del corretto adempimento della propria prestazione, mentre la curatela può limitarsi a sollevare eccezione di inadempimento purché specifica e tempestiva. Di particolare interesse è la precisazione circa la natura della consulenza tecnica d’ufficio: trattandosi di CTU percipiente, essa può legittimamente considerare fatti tecnici “secondari”, anche se non specificamente allegati dalle parti, quando la loro valutazione risulti necessaria per rispondere compiutamente al quesito. In ciò la Corte richiama le Sezioni Unite n. 3086/2022, chiarendo che la distinzione tra “fatti principali” e “fatti secondari” consente di evitare indebite censure di ultrapetizione, come nel caso di specie, in cui le deduzioni del consulente avevano integrato — senza innovare — il quadro contestuale dell’inadempimento. 5. Considerazioni sistematiche e riflessi applicativi La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza che tende a ricomporre l’unità del diritto contrattuale e quello concorsuale, superando l’idea di una cesura netta tra le due dimensioni.Lo scioglimento del contratto, pur determinando la cessazione del vincolo, non elide gli effetti già prodotti né cancella gli obblighi di correttezza e buona fede gravanti sulle parti.Il curatore, in quanto successore a titolo particolare del fallito, può pertanto far valere tutte le eccezioni opponibili dal debitore in bonis, incluse quelle di inadempimento o di inesatto adempimento, per evitare che la massa sopporti prestazioni non utili o dannose. Nell’ambito dei rapporti professionali — come nel caso della revisione legale dei conti — la decisione assume rilievo pratico anche ai fini della valutazione del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.: il mancato adempimento secondo regola d’arte non solo riduce l’entità del credito ammissibile, ma può escludere il riconoscimento del privilegio per difetto del presupposto di “effettività” della prestazione. 6. Conclusioni La Cassazione, con l’ordinanza n. 27361/2025, consolida un orientamento che coniuga rigore sistematico e pragmatismo gestionale: lo scioglimento del contratto per fallimento ha efficacia ex nunc e non impedisce l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento per prestazioni inesatte, anche quando il rapporto sia ormai cessato.Ne deriva un principio di equilibrio tra tutela della massa e rispetto della corrispettività sinallagmatica, che evita di gravare la procedura concorsuale di oneri economici non giustificati da un’effettiva utilità per l’attivo. Autore Marco Cavaliere

La risoluzione del concordato preventivo liquidatorio tra oggettività dell’inadempimento e perdita della causa concreta

A cura di Marco Cavaliere Nota a Trib. Milano, Sez. II Civile, 21 luglio 2025, Pres. De Simone, Est. Pipicelli 1. Premessa Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Milano affronta con rara chiarezza il tema della risoluzione del concordato preventivo liquidatorio, soffermandosi sui criteri di valutazione della “non scarsa importanza dell’inadempimento” e sulla natura oggettiva del relativo accertamento.Il Collegio — composto dalla Presidente Dott.ssa De Simone e dal Giudice relatore Dott. Pipicelli — si colloca nel solco di un orientamento interpretativo volto a ricondurre la risoluzione del concordato a una verifica sostanziale della funzione economico-sociale della procedura, intesa come strumento di soddisfazione, anche parziale, della massa creditoria. 2. Il caso concreto La vicenda trae origine dal ricorso proposto da due creditori chirografari nei confronti della società debitrice, ammessa nel 2019 a concordato preventivo liquidatorio.Nonostante la proroga semestrale dei termini di esecuzione disposta ex art. 9 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (“Decreto Liquidità”), alla data del 30 giugno 2024 il piano risultava totalmente inadempiuto.Le relazioni del liquidatore giudiziale, prodotte nel procedimento, avevano evidenziato l’assoluta incapacità di realizzare gli asset aziendali (otto esperimenti di vendita andati deserti o con esiti marginali) e l’impossibilità di conseguire anche un pagamento minimo dei creditori chirografari, in violazione della percentuale promessa del 26%.Il Tribunale ha pertanto accertato un’inadempienza strutturale e generalizzata, tale da precludere la realizzazione della causa concreta del concordato e da giustificare la risoluzione del medesimo ai sensi dell’art. 186 l. fall. (ora art. 119 CCII). 3. La gravità dell’inadempimento e la prospettiva oggettiva di valutazione Il giudice meneghino premette che la valutazione della “non scarsa importanza” dell’inadempimento deve essere condotta avendo riguardo al complesso degli obblighi assunti dal debitore verso la massa dei creditori, e non con riferimento al singolo rapporto obbligatorio.Il concordato, infatti, rappresenta un negozio plurisoggettivo e composito, in cui la soddisfazione dei creditori è elemento costitutivo della causa e la cui omologa consegue all’approvazione della maggioranza del ceto creditorio.Ne consegue che la gravità dell’inadempimento deve essere parametrata al mancato raggiungimento dell’obiettivo satisfattivo complessivo del piano, e non all’interesse individuale del creditore istante. 4. La funzione satisfattiva e la perdita della causa in concreto Il Tribunale ha individuato il parametro decisivo della risoluzione nella oggettiva impossibilità di realizzare la soddisfazione dei creditori nei termini concordatari, sottolineando che il venir meno anche di una soddisfazione minima e non irrisoria dei chirografari priva di causa il negozio concordatario.La sentenza richiama in tal senso la Cass., Sez. I, n. 20652 del 31 luglio 2019, la quale ha affermato che il concordato “deve essere risolto […] qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e integralmente quelli privilegiati, salvo che l’inadempimento abbia scarsa importanza, tenuto conto della percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta dal debitore”.Il Collegio valorizza inoltre la Cass., Sez. I, n. 18738 del 13 luglio 2018, che ribadisce come la risoluzione debba essere pronunciata “a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici”. In linea con tali approdi, la sentenza richiama altresì Cass. n. 7942/2010, Cass. n. 13446/2013 e Cass. n. 4398/2015, che hanno posto l’accento sulla irrilevanza dell’imputabilità soggettiva dell’inadempimento, dovendo il giudice verificare solo l’effettiva capacità della procedura di conseguire, in base a criteri di ragionevole previsione, la finalità satisfattiva minima. In altri termini, la gravità dell’inadempimento si traduce nella perdita della causa in concreto del concordato, laddove la procedura non sia più in grado di assicurare — neppure in minima parte — la realizzazione dell’utilità promessa al ceto creditorio. 5. L’insolvenza sopravvenuta e la segnalazione al Pubblico Ministero Il Tribunale ha poi rilevato come la società risultasse attualmente insolvente, con un patrimonio netto negativo di circa € 12,4 milioni e un attivo effettivo incapiente rispetto al passivo concordatario.In applicazione dei principi affermati da Cass., Sez. I, ord. n. 30284 del 14 ottobre 2022 e Cass., Sez. I, ord. n. 7087 del 3 marzo 2022, il giudice ha richiamato la nozione di insolvenza quale situazione di “impotenza strutturale” dell’impresa a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi ordinari.Non essendo stata proposta istanza di apertura della liquidazione giudiziale, il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le determinazioni di competenza. 6. Considerazioni conclusive La decisione milanese si distingue per rigore argomentativo e coerenza sistematica.Essa chiarisce che la risoluzione del concordato preventivo liquidatorio non è rimessa alla valutazione soggettiva della condotta del debitore, bensì alla verifica oggettiva della funzionalità del piano rispetto alla sua causa economico-sociale.Quando il piano perde la capacità di assicurare anche una minima soddisfazione ai creditori, l’inadempimento non può che qualificarsi di grave entità, comportando la caducazione dell’efficacia dell’accordo e la conseguente segnalazione dell’insolvenza. Autore Marco Cavaliere

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La nota di variazione IVA nelle procedure di concordato preventivo: la risposta n. 234/2025 dell’Agenzia delle Entrate tra consecuzione e facoltà di emissione

di Marco Cavaliere 1. Premessa sistematica Con la risposta a interpello n. 234 del 9 settembre 2025, la Divisione Contribuenti dell’Agenzia delle Entrate ha fornito un articolato chiarimento in ordine all’applicabilità dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 in tema di note di variazione in diminuzione dell’imposta sul valore aggiunto nell’ambito delle procedure di concordato preventivo, con particolare riguardo ai rapporti tra il principio della consecuzione e la facoltà riconosciuta al creditore di scegliere il momento per il recupero dell’imposta non incassata. La pronuncia si inserisce nel solco del percorso di adeguamento dell’ordinamento interno alla giurisprudenza unionale e alle modifiche introdotte dal D.L. n. 73/2021 (c.d. “Sostegni-bis”), che hanno inciso profondamente sulla disciplina temporale di esercizio del diritto alla variazione in diminuzione. 2. I fatti oggetto dell’istanza La società Alfa, operante nel settore del commercio di articoli sportivi, rappresentava di vantare un credito commerciale nei confronti della società Beta, attiva nel comparto retail, la quale – a seguito di una crisi finanziaria – aveva presentato domanda di concordato preventivo nel dicembre 2020, ammessa con decreto del settembre 2021 e successivamente revocata nell’aprile 2022. In data giugno 2022, Beta proponeva una nuova istanza di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall., poi trasformata in concordato in continuità aziendale, con un piano di adempimento sino al 31 dicembre 2027. Tale procedura veniva ammessa con decreto del settembre 2023 e omologata nel giugno 2024. Alla luce dell’omologa, il credito di Alfa risultava parzialmente soddisfatto con una falcidia percentuale, residuando una quota di credito definitivamente non recuperabile. Da ciò l’istanza all’Agenzia delle Entrate, volta a conoscere: 3. La soluzione prospettata dal contribuente La società istante, escludendo che tra le due procedure di concordato potesse configurarsi consecuzione temporale, riteneva applicabile la disciplina novellata dal D.L. 73/2021, ma sosteneva di poter attendere la conclusione della procedura concordataria prima di emettere la nota di credito, in quanto solo in tale momento si sarebbe consolidata la ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore. A suo avviso, dunque, la conclusione infruttuosa del concordato, attestata dal piano di riparto o dal decreto di omologa, avrebbe potuto costituire un autonomo presupposto per la variazione in diminuzione ai sensi dell’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972. 4. Il ragionamento dell’Amministrazione finanziaria 4.1. Evoluzione normativa dell’art. 26 D.P.R. 633/1972 L’Agenzia ha preliminarmente ricostruito l’evoluzione dell’art. 26, ricordando come, nella formulazione previgente, l’emissione della nota di variazione per mancato pagamento dovuto a procedure concorsuali fosse subordinata alla conclamata infruttuosità della procedura. Tale impostazione era stata censurata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16), che ha escluso la possibilità per gli Stati membri di subordinare la riduzione della base imponibile IVA alla conclusione di una procedura concorsuale di lunga durata, in violazione del principio di neutralità dell’imposta. In recepimento di tale indirizzo, l’art. 18 del D.L. 73/2021 ha introdotto i commi 3-bis e 10-bis dell’art. 26, anticipando il dies a quo dell’emissione della nota di variazione al momento di apertura della procedura concorsuale del debitore.L’Agenzia ha richiamato, sul punto, la circolare n. 20/E del 2021, che ha interpretato la novella come strumento di semplificazione e accelerazione del recupero dell’imposta. 4.2. Il principio di consecuzione tra procedure concorsuali Con riferimento al primo quesito, la risposta n. 234/2025 ha escluso l’operatività del principio di consecuzione tra le due procedure di concordato avviate dalla società Beta, sottolineando che tale principio, disciplinato dall’art. 69-bis, comma 2, l. fall. (oggi art. 170, comma 2, CCII), presuppone la confluenza di una procedura minore in una successiva liquidazione giudiziale, non la mera successione di due concordati. La giurisprudenza di legittimità – si cita Cass. 11 giugno 2019, n. 15724 – ha chiarito che la consecuzione richiede la unicità della causa e non può desumersi dal solo dato cronologico.Nel caso di specie, essendo le due procedure autonome, l’Agenzia ha individuato il riferimento temporale nella data di avvio della seconda procedura (2022), successiva al 26 maggio 2021, con conseguente applicazione del testo novellato dell’art. 26. 4.3. La facoltà di scelta del creditore tra commi 3-bis e 2 Quanto al secondo quesito, l’Amministrazione ha ribadito che il comma 3-bis riconosce al creditore la facoltà (non l’obbligo) di emettere la nota di variazione sin dall’apertura della procedura concorsuale.Tuttavia, se il creditore ritiene più opportuno insinuarsi al passivo e attendere l’esito della procedura, egli conserva la possibilità di avvalersi del comma 2 qualora la procedura si riveli infruttuosa. Richiamando la risposta a interpello n. 485/2022, l’Agenzia ha affermato che la definitività del piano di riparto infruttuoso o la constatazione del mancato pagamento integrale del corrispettivo costituiscono un autonomo presupposto per l’emissione della nota di variazione ai sensi del comma 2.In tale ipotesi, la variazione è ammessa in quanto l’obbligazione originaria viene meno ex tunc in conseguenza dell’assetto giuridico rideterminato dal provvedimento di omologa o dall’esito negativo del riparto. 5. La conclusione dell’Agenzia delle Entrate La risposta si chiude con tre affermazioni di principio: L’Agenzia, pertanto, condivide integralmente la soluzione prospettata dall’istante. 6. Considerazioni conclusive La Risposta n. 234/2025 assume rilievo sistematico perché conferma l’esistenza di un doppio binario operativo in materia di variazioni IVA: Tale impostazione garantisce coerenza con i principi di neutralità e proporzionalità dell’imposta, consentendo al creditore di calibrare il momento del recupero dell’IVA in funzione della strategia concorsuale e della prevedibile capienza del debitore. La posizione dell’Amministrazione, inoltre, delimita rigorosamente il campo di applicazione del principio di consecuzione, la cui estensione ai rapporti tra più concordati viene negata salvo un accertamento giudiziale di unicità di causa, confermando la autonomia giuridica e temporale di ciascuna procedura. In definitiva, la pronuncia consente di affermare che, in caso di concordato preventivo infruttuoso, la nota di variazione IVA potrà essere emessa legittimamente al termine della procedura, quando il mancato pagamento risulti definitivo, costituendo tale momento l’unico idoneo a fondare il diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’art. 26, comma 2, D.P.R. n. 633/1972. Autore Marco Cavaliere

Lo scioglimento del rapporto contrattuale per effetto del fallimento e la proponibilità dell’eccezione di inadempimento: nota a Cass., Sez. I, 13 ottobre 2025, n. 27361

Marco Cavaliere 1. Premessa. – La fattispecie Con l’ordinanza n. 27361 del 13 ottobre 2025 (Pres. Pazzi, Est. Amatore), la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione è tornata ad affrontare la delicata questione degli effetti che lo scioglimento del contratto, determinato dal fallimento di una delle parti, produce sul diritto del contraente in bonis e del curatore di opporre l’eccezione di inadempimento in sede di verifica del passivo. La vicenda traeva origine dall’opposizione proposta da una società di revisione avverso il decreto di esclusione, pronunciato dal giudice delegato, del credito insinuato a titolo di compenso per l’attività di revisione legale dei conti svolta a favore di una società poi dichiarata insolvente.La curatela (nella specie, una procedura di amministrazione straordinaria) aveva eccepito l’inadempimento parziale e l’esecuzione non diligente della prestazione professionale, lamentando, in particolare, gravi carenze nella revisione dei bilanci e nell’attestazione dei vincoli finanziari.Il Tribunale di Verona, con decreto del 17 marzo 2023, accoglieva solo parzialmente l’opposizione, ammettendo al passivo il credito in misura ridotta e in chirografo, rigettando altresì la pretesa al riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. La società opponente proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 1460 c.c., assumendo che, una volta sciolto il contratto per effetto del fallimento, non sarebbe più consentito sollevare l’eccezione di inadempimento, istituto funzionale alla conservazione del vincolo negoziale. 2. L’efficacia ex nunc dello scioglimento del contratto e la persistenza dell’eccezione di inadempimento La Suprema Corte respinge il ricorso, riaffermando un principio di diritto di significativa rilevanza sistematica: «Anche laddove il contratto si sciolga per l’intervenuto fallimento di una delle parti, poiché tale scioglimento ha efficacia ex nunc, ciascuna parte e il curatore del fallimento possono sempre rifiutare il pagamento delle opere e dei servizi per la parte non eseguita o non eseguita a regola d’arte, sollevando eccezione di inadempimento, in quanto ragionando diversamente si imporrebbe al debitore di pagare per intero le prestazioni ricevute, pur se in tutto o in parte non eseguite esattamente». Il dictum si pone in linea di continuità con Cass. Sez. I, 20 novembre 2015, n. 23810, e conferma che lo scioglimento del rapporto contrattuale a seguito della dichiarazione di fallimento non cancella retroattivamente gli effetti già prodotti, ma opera ex nunc, lasciando intatti i diritti e le eccezioni maturate sino a quel momento. Ne consegue che il curatore, chiamato a verificare le pretese creditorie relative a prestazioni professionali rese in esecuzione del contratto poi sciolto, può legittimamente opporre l’inadempimento parziale o imperfetto del contraente, negando il pagamento delle somme pretese per la parte non regolarmente adempiuta. Il principio appare coerente con la logica della par condicio creditorum e con il canone di economicità della gestione fallimentare: la procedura non può sopportare l’onere integrale di prestazioni non eseguite correttamente, pena l’ingiustificato arricchimento del creditore professionista. 3. La funzione dell’eccezione di inadempimento nella fase concorsuale La sentenza in commento offre altresì lo spunto per ribadire la funzione non solo conservativa, ma anche difensiva dell’eccezione di inadempimento, intesa quale strumento di autotutela volto a impedire che il debitore sia costretto a corrispondere il prezzo di una prestazione imperfetta. L’argomento difensivo della ricorrente, secondo cui l’eccezione ex art. 1460 c.c. presupporrebbe un contratto ancora in corso di esecuzione, è respinto con motivazione logico-sistematica: l’eccezione non persegue necessariamente la conservazione del vincolo, ma può essere utilmente sollevata anche a rapporto sciolto, al solo fine di paralizzare la pretesa di controparte per prestazioni inesatte. La Corte valorizza così una lettura sostanziale dell’istituto, che travalica il piano statico del sinallagma contrattuale per proiettarsi in quello dinamico dell’equilibrio tra le prestazioni, anche dopo la cessazione del vincolo negoziale. 4. L’onere probatorio e il ruolo della consulenza tecnica d’ufficio Sotto il profilo processuale, la decisione conferma l’orientamento secondo cui, nell’ambito dell’opposizione allo stato passivo, il creditore opponente è onerato della prova dell’esistenza del credito e del corretto adempimento della propria prestazione, mentre la curatela può limitarsi a sollevare eccezione di inadempimento purché specifica e tempestiva. Di particolare interesse è la precisazione circa la natura della consulenza tecnica d’ufficio: trattandosi di CTU percipiente, essa può legittimamente considerare fatti tecnici “secondari”, anche se non specificamente allegati dalle parti, quando la loro valutazione risulti necessaria per rispondere compiutamente al quesito. In ciò la Corte richiama le Sezioni Unite n. 3086/2022, chiarendo che la distinzione tra “fatti principali” e “fatti secondari” consente di evitare indebite censure di ultrapetizione, come nel caso di specie, in cui le deduzioni del consulente avevano integrato — senza innovare — il quadro contestuale dell’inadempimento. 5. Considerazioni sistematiche e riflessi applicativi La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza che tende a ricomporre l’unità del diritto contrattuale e quello concorsuale, superando l’idea di una cesura netta tra le due dimensioni.Lo scioglimento del contratto, pur determinando la cessazione del vincolo, non elide gli effetti già prodotti né cancella gli obblighi di correttezza e buona fede gravanti sulle parti.Il curatore, in quanto successore a titolo particolare del fallito, può pertanto far valere tutte le eccezioni opponibili dal debitore in bonis, incluse quelle di inadempimento o di inesatto adempimento, per evitare che la massa sopporti prestazioni non utili o dannose. Nell’ambito dei rapporti professionali — come nel caso della revisione legale dei conti — la decisione assume rilievo pratico anche ai fini della valutazione del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.: il mancato adempimento secondo regola d’arte non solo riduce l’entità del credito ammissibile, ma può escludere il riconoscimento del privilegio per difetto del presupposto di “effettività” della prestazione. 6. Conclusioni La Cassazione, con l’ordinanza n. 27361/2025, consolida un orientamento che coniuga rigore sistematico e pragmatismo gestionale: lo scioglimento del contratto per fallimento ha efficacia ex nunc e non impedisce l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento per prestazioni inesatte, anche quando il rapporto sia ormai cessato.Ne deriva un principio di equilibrio tra tutela della massa e rispetto della corrispettività sinallagmatica, che evita di gravare la procedura concorsuale di oneri economici non giustificati da un’effettiva utilità per l’attivo. Autore Marco Cavaliere

La risoluzione del concordato preventivo liquidatorio tra oggettività dell’inadempimento e perdita della causa concreta

A cura di Marco Cavaliere Nota a Trib. Milano, Sez. II Civile, 21 luglio 2025, Pres. De Simone, Est. Pipicelli 1. Premessa Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Milano affronta con rara chiarezza il tema della risoluzione del concordato preventivo liquidatorio, soffermandosi sui criteri di valutazione della “non scarsa importanza dell’inadempimento” e sulla natura oggettiva del relativo accertamento.Il Collegio — composto dalla Presidente Dott.ssa De Simone e dal Giudice relatore Dott. Pipicelli — si colloca nel solco di un orientamento interpretativo volto a ricondurre la risoluzione del concordato a una verifica sostanziale della funzione economico-sociale della procedura, intesa come strumento di soddisfazione, anche parziale, della massa creditoria. 2. Il caso concreto La vicenda trae origine dal ricorso proposto da due creditori chirografari nei confronti della società debitrice, ammessa nel 2019 a concordato preventivo liquidatorio.Nonostante la proroga semestrale dei termini di esecuzione disposta ex art. 9 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (“Decreto Liquidità”), alla data del 30 giugno 2024 il piano risultava totalmente inadempiuto.Le relazioni del liquidatore giudiziale, prodotte nel procedimento, avevano evidenziato l’assoluta incapacità di realizzare gli asset aziendali (otto esperimenti di vendita andati deserti o con esiti marginali) e l’impossibilità di conseguire anche un pagamento minimo dei creditori chirografari, in violazione della percentuale promessa del 26%.Il Tribunale ha pertanto accertato un’inadempienza strutturale e generalizzata, tale da precludere la realizzazione della causa concreta del concordato e da giustificare la risoluzione del medesimo ai sensi dell’art. 186 l. fall. (ora art. 119 CCII). 3. La gravità dell’inadempimento e la prospettiva oggettiva di valutazione Il giudice meneghino premette che la valutazione della “non scarsa importanza” dell’inadempimento deve essere condotta avendo riguardo al complesso degli obblighi assunti dal debitore verso la massa dei creditori, e non con riferimento al singolo rapporto obbligatorio.Il concordato, infatti, rappresenta un negozio plurisoggettivo e composito, in cui la soddisfazione dei creditori è elemento costitutivo della causa e la cui omologa consegue all’approvazione della maggioranza del ceto creditorio.Ne consegue che la gravità dell’inadempimento deve essere parametrata al mancato raggiungimento dell’obiettivo satisfattivo complessivo del piano, e non all’interesse individuale del creditore istante. 4. La funzione satisfattiva e la perdita della causa in concreto Il Tribunale ha individuato il parametro decisivo della risoluzione nella oggettiva impossibilità di realizzare la soddisfazione dei creditori nei termini concordatari, sottolineando che il venir meno anche di una soddisfazione minima e non irrisoria dei chirografari priva di causa il negozio concordatario.La sentenza richiama in tal senso la Cass., Sez. I, n. 20652 del 31 luglio 2019, la quale ha affermato che il concordato “deve essere risolto […] qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e integralmente quelli privilegiati, salvo che l’inadempimento abbia scarsa importanza, tenuto conto della percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta dal debitore”.Il Collegio valorizza inoltre la Cass., Sez. I, n. 18738 del 13 luglio 2018, che ribadisce come la risoluzione debba essere pronunciata “a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici”. In linea con tali approdi, la sentenza richiama altresì Cass. n. 7942/2010, Cass. n. 13446/2013 e Cass. n. 4398/2015, che hanno posto l’accento sulla irrilevanza dell’imputabilità soggettiva dell’inadempimento, dovendo il giudice verificare solo l’effettiva capacità della procedura di conseguire, in base a criteri di ragionevole previsione, la finalità satisfattiva minima. In altri termini, la gravità dell’inadempimento si traduce nella perdita della causa in concreto del concordato, laddove la procedura non sia più in grado di assicurare — neppure in minima parte — la realizzazione dell’utilità promessa al ceto creditorio. 5. L’insolvenza sopravvenuta e la segnalazione al Pubblico Ministero Il Tribunale ha poi rilevato come la società risultasse attualmente insolvente, con un patrimonio netto negativo di circa € 12,4 milioni e un attivo effettivo incapiente rispetto al passivo concordatario.In applicazione dei principi affermati da Cass., Sez. I, ord. n. 30284 del 14 ottobre 2022 e Cass., Sez. I, ord. n. 7087 del 3 marzo 2022, il giudice ha richiamato la nozione di insolvenza quale situazione di “impotenza strutturale” dell’impresa a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi ordinari.Non essendo stata proposta istanza di apertura della liquidazione giudiziale, il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le determinazioni di competenza. 6. Considerazioni conclusive La decisione milanese si distingue per rigore argomentativo e coerenza sistematica.Essa chiarisce che la risoluzione del concordato preventivo liquidatorio non è rimessa alla valutazione soggettiva della condotta del debitore, bensì alla verifica oggettiva della funzionalità del piano rispetto alla sua causa economico-sociale.Quando il piano perde la capacità di assicurare anche una minima soddisfazione ai creditori, l’inadempimento non può che qualificarsi di grave entità, comportando la caducazione dell’efficacia dell’accordo e la conseguente segnalazione dell’insolvenza. Autore Marco Cavaliere

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