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Convivente e impresa familiare: la Corte rifonda la tutela

La Corte Costituzionale rimuove l’anacronismo che escludeva i conviventi more uxorio dall’impresa familiare. Nuovi equilibri tra solidarietà affettiva e protezione del lavoro.

Tutela convivente impresa familiare

Premessa

La Sentenza n. 148 del 25 luglio 2024 della Corte Costituzionale affronta una questione irrisolta da decenni (da quando l’art. 230-bis c.c. fu introdotto nel 1975): la legittimità costituzionale dell’art. 230-bis c.c., nella parte in cui esclude il convivente more uxorio dal novero dei soggetti tutelati nell’impresa familiare.

La vicenda trae origine da un giudizio promosso da una donna che aveva convissuto per oltre un decennio con un imprenditore agricolo, prestando stabilmente attività lavorativa nella sua azienda. Alla morte del convivente, la ricorrente agiva contro gli eredi chiedendo il riconoscimento dei diritti partecipativi ed economici spettanti ai sensi dell’art. 230-bis c.c.

I giudici di merito hanno respinto la domanda, sostenendo l’inapplicabilità della norma ai conviventi di fatto e, inoltre, l’impossibilità di applicare l’art. 230-ter c.c., introdotto solo nel 2016, a un rapporto concluso nel 2012.

Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, ritenendo che tale esclusione violasse principi fondamentali di eguaglianza, dignità e tutela del lavoro, hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale ha accolto le censure, pronunciandosi per l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis c.c. nella parte in cui non include il convivente more uxorio, e affrontando anche – seppur indirettamente – l’effettivo impatto dell’art. 230-ter c.c..

I principi affermati dalla Corte

La sentenza n. 148 del 25 luglio 2024 della Corte Costituzionale rappresenta una pronuncia di straordinaria rilevanza che ridefinisce i confini dell’impresa familiare, estendendo la tutela dell’art. 230-bis del codice civile ai conviventi di fatto.

1) Centralità della persona e del lavoro nelle relazioni familiari e formazioni sociali

Il primo richiamo è all’art. 2 Cost., che tutela i diritti inviolabili dell’uomo all’interno delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. La Corte riconosce che la convivenza di fatto costituisce una di tali formazioni e che il lavoro prestato all’interno di essa non può essere ignorato né considerato gratuito per presunzione di gratuità fondata sul vincolo affettivo.

2)Violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.)

La norma censurata realizza una disparità di trattamento irragionevole tra soggetti che svolgono identiche mansioni nell’ambito dell’impresa familiare, differenziandoli unicamente in base alla qualità di coniuge o familiare in senso formale. Tale disparità, secondo la Corte, è fondata su una “condizione personale” non giustificabile alla luce dell’identità di situazioni sostanziali.

3) Tutela costituzionale del lavoro (artt. 4, 35, 36 Cost.)

Il fulcro della decisione risiede nel riconoscimento che il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36 Cost.) non può subire discriminazioni basate sulla natura del vincolo affettivo. Il lavoro, in qualunque forma si esprima, deve ricevere tutela effettiva. L’esclusione del convivente dall’art. 230-bis c.c. priva ingiustificatamente di protezione un’attività che, se svoltasse in ambito coniugale, sarebbe pienamente riconosciuta. È una violazione del principio di eguaglianza sostanziale, della dignità e del diritto alla giusta retribuzione.

4) Principi sovranazionali e diritto vivente

La Corte valorizza anche le fonti sovranazionali: l’art. 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e gli artt. 8 e 12 CEDU, che impongono una tutela delle relazioni familiari non limitata al solo matrimonio. La giurisprudenza della Corte EDU, in particolare, impone agli Stati l’obbligo positivo di assicurare protezione effettiva alla vita familiare, anche fuori dal matrimonio.

5) Principio di Ragionevolezza e divieto di Discriminazioni Irrazionali

La Corte evidenzia come l’esclusione del convivente di fatto dall’ambito applicativo dell’art. 230-bis cod. civ. determini una discriminazione irragionevole fondata sulla mera condizione personale, in violazione dell’art. 3 Cost. Tale disparità di trattamento risulta logicamente contraddittoria quando si consideri che anche l’affine di secondo grado gode della tutela dell’impresa familiare.

6) Evoluzione Interpretativa dei Diritti Costituzionali

La pronuncia testimonia un approccio evolutivo nell’interpretazione dei diritti costituzionali, che tiene conto delle trasformazioni sociali e del mutamento dei costumi. La Corte riconosce che l’emersione delle convivenze di fatto come diffuso fenomeno sociale richiede un adeguamento delle tutele giuridiche, superando concezioni ormai superate.

7) Illegittimità Consequenziale dell’Art. 230-ter cod. civ.

La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 230-ter cod. civ., introdotto dalla legge n. 76/2016, poiché la tutela “dimidiata” ivi prevista risulterebbe ora discriminatoria rispetto alla più ampia protezione riconosciuta dall’art. 230-bis cod. civ. come novellato dalla pronuncia costituzionale.

8) Definizione di Convivente di Fatto

La Corte fa propria la definizione legislativa di conviventi di fatto contenuta nell’art. 1, comma 36, della legge n. 76/2016: “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”. Tale definizione diventa ora il parametro per l’applicazione dell’art. 230-bis cod. civ.

9) Natura Imperativa della Tutela

La pronuncia conferma la natura imperativa e inderogabile della disciplina dell’impresa familiare, che non può essere elusa mediante schemi negoziali che attribuiscano al familiare (ora comprensivo del convivente di fatto) una posizione deteriore rispetto a quella garantita dalla legge.

10) L’art. 230-ter c.c. come disciplina non esaustiva

L’art. 230-ter c.c., introdotto nel 2016, riconosce al convivente di fatto alcuni diritti patrimoniali, ma la sua portata è considerata dalla Corte parziale e insufficiente: non prevede il diritto al mantenimento, non conferisce alcun potere gestionale né diritti di prelazione in caso di cessione o divisione dell’impresa. Tale norma, pur restando in vigore, non può essere considerata esaustiva della tutela costituzionalmente dovuta al convivente lavoratore. Da qui l’illegittimità costituzionale “in via consequenziale” della norma.

Conclusioni

La Sentenza n. 148/2024 segna un momento di svolta nella costruzione del diritto delle relazioni familiari e del lavoro prestato all’interno di esse.

Il contributo lavorativo del convivente di fatto, stabile e continuativo, non può più essere considerato irrilevante o presunto gratuito per assenza di vincolo formale.

Pur lasciando al legislatore il compito di disciplinare le differenze tra i modelli familiari, la Corte afferma un principio forte e chiaro: nessuna scelta di vita può giustificare la negazione di diritti fondamentali connessi al lavoro, alla dignità e alla solidarietà.

La pronuncia produce effetti di rilievo: da un lato, apre alla possibilità per i conviventi di fatto, anche in relazioni cessate prima del 2016, di rivendicare i diritti riconosciuti dall’art. 230-bis c.c.; dall’altro, impone un ripensamento complessivo della disciplina attuale, sollecitando il legislatore a riformare l’art. 230-ter c.c., per renderlo coerente con i parametri costituzionali ed europei.

Il diritto vivente è chiamato ad adeguarsi: non è più sostenibile che il lavoro prestato in una famiglia di fatto sia privo di ogni garanzia. La Corte richiama tutti – giudici e legislatori – a fondare la tutela giuridica non sullo status, ma sulla sostanza delle relazioni umane e dei contributi economico-produttivi.

🔍 Approfondimento: quale disciplina per il convivente dopo la sentenza n. 148/2024?

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 230-ter cod. civ. “in via consequenziale”, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come conseguenza diretta della dichiarazione di illegittimità dell’art. 230-bis, terzo comma, cod. civ., in quanto la norma evidenzia:

– Mancato riconoscimento del lavoro “nella famiglia” (solo quello “nell’impresa”)

– Assenza del diritto al mantenimento

– Mancanza del diritto di prelazione

– Esclusione dei diritti partecipativi nelle decisioni gestionali

– Tutela meramente eventuale, legata alla produzione di utili

La Corte considera questa disciplina costituzionalmente inadeguata. Per i rapporti anteriori al 2016, afferma che l’art. 230-bis c.c. deve applicarsi anche al convivente, superando ogni lettura restrittiva che ne limitasse la portata ai soli familiari form

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