- Pubblicato daAnna Pizzini
- -Maggio 24, 2025
- -Diritto penale, Diritto societario, News
a cura di Avv. Anna Pizzini
La sentenza della Corte di Cassazione conferma la condanna dell’amministratore unico di una società per reati di bancarotta fraudolenta (distrattiva e documentale), falso in bilancio e distrazione di somme societarie.
I fatti contestati
L’amministratore è stato condannato per plurimi reati fallimentari in relazione alla gestione di una società dichiarata fallita nel giugno 2015. Le condotte ascritte riguardano la distrazione di beni sociali, l’irregolare tenuta delle scritture contabili, la falsificazione dei bilanci tramite esposizione di crediti inesistenti e omessa indicazione di debiti erariali, nonché l’aggravamento del dissesto patrimoniale societario. Il primo giudice ha pronunciato condanna su tutti i capi, ad eccezione di quello relativo alla mancata presentazione dei bilanci post-fallimento. In appello è intervenuta una parziale riforma: dichiarata prescritta la bancarotta semplice per aggravamento del dissesto, applicate le attenuanti generiche, ridotta la pena e concessa la sospensione condizionale.
La bancarotta fraudolenta e il falso in bilancio
Il ricorso ruotava intorno alla contestazione dell’applicazione degli articoli 216 e 223 l.fall., concernenti rispettivamente la bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale e la bancarotta impropria da falso in bilancio, nonché dell’art. 219 l.fall. e dell’art. 2621 c.c. in tema di false comunicazioni sociali. La Suprema Corte ha chiarito che il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva richiede dolo generico: è sufficiente la volontà consapevole di sottrarre beni alla garanzia dei creditori. Quanto al falso in bilancio, è stata ribadita la rilevanza penale dell’esposizione di crediti inesistenti e dell’omessa indicazione di debiti, specie quando queste condotte compromettono sensibilmente la rappresentazione patrimoniale della società. La linea difensiva ha cercato di ridimensionare la gravità delle condotte contestate, qualificando gli addebiti come frutto di negligenza contabile o meri errori privi di rilievo penale, in particolare in relazione alla contestazione di falso in bilancio.
È stato sostenuto che l’annotazione nel bilancio di crediti già incassati fosse conseguenza di un errore formale, privo di intento fraudolento e senza reale impatto sulla situazione economica dell’impresa. La Corte di Cassazione ha respinto tale impostazione, evidenziando che l’inserimento in bilancio di poste attive inesistenti compromette la rappresentazione veritiera dell’equilibrio economico e patrimoniale della società. Tale condotta non può essere derubricata a trascuratezza o errore materiale, specie se protratta nel tempo e non corretta nei successivi esercizi. La giurisprudenza prevalente ha affermato che il falso in bilancio si configura anche con dolo generico, qualora l’agente rappresenti consapevolmente una realtà societaria difforme da quella effettiva, inducendo in errore i terzi e alterando il quadro informativo. Quanto alla bancarotta fraudolenta per distrazione, essa resta integrata anche in assenza di consapevolezza dello stato di insolvenza, purché emerga la volontà di sottrarre risorse all’impresa.
In relazione ai prelievi giustificati come restituzioni di finanziamenti da parte del socio, la Corte ha escluso la legittimità dell’operazione, rilevando l’assenza di prova circa la pregressa erogazione e richiamando l’applicazione dell’art. 2467 c.c. sulla postergazione dei rimborsi in situazioni di squilibrio patrimoniale. La Suprema Corte ha ribadito che il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva non presuppone la consapevolezza dello stato d’insolvenza, ma soltanto la volontà di sottrarre beni all’azienda, e che il falso in bilancio è penalmente rilevante anche in presenza di dolo generico. Le difese fondate sulla negligenza o sull’errore formale non sono idonee ad escludere la responsabilità penale quando le alterazioni contabili risultano reiterate e incidono significativamente sul quadro informativo rivolto ai terzi. L’imputazione di false comunicazioni sociali si consolida dunque sulla base dell’impatto reale che tali condotte hanno avuto sulla corretta percezione della situazione patrimoniale e finanziaria della società.
La giurisprudenza conferma l’importanza della trasparenza e veridicità delle scritture contabili, considerandole strumenti essenziali per la tutela dell’affidamento dei creditori e del mercato. L’inserimento in bilancio di poste attive non supportate da riscontri oggettivi altera in modo rilevante il bilancio e non può essere considerato un mero errore tecnico. La Corte, nel richiamare le norme del codice civile e della legge fallimentare, ribadisce un orientamento rigoroso volto a contrastare pratiche elusive o simulatorie nell’ambito societario. Anche il principio della postergazione ex art. 2467 c.c. assume rilevanza centrale, vietando la restituzione di finanziamenti dei soci nelle fasi di crisi, per evitare che le risorse vengano sottratte al soddisfacimento dei creditori. Le condotte analizzate sono quindi espressione di una gestione consapevolmente scorretta, la cui rilevanza penale non può essere attenuata da giustificazioni ex post, specie se prive di riscontri documentali e coerenza con la situazione contabile effettiva.
Conclusioni
La sentenza in commento evidenzia l’importanza della veridicità del bilancio e della corretta rappresentazione contabile nella gestione societaria. L’inserimento in bilancio di crediti già incassati costituisce una grave alterazione della realtà economico-finanziaria dell’impresa, idonea a trarre in inganno i creditori e ad aggravare il dissesto. La Cassazione conferma quindi che tali condotte, seppur ascrivibili a dolo generico, sono sufficienti per configurare il reato di bancarotta fraudolenta documentale e impropria da falso in bilancio.
Sentenza Corte di Cassazione n. 19108/2025 del 7.3.2025
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