- Pubblicato daValerie Stella De Caro Giordanelli
- -Giugno 27, 2025
- -Diritto societario, News
I crediti postergati ex art. 2467 c.c. non sono compensabili nel fallimento. La norma deve ritenersi prevalente rispetto all’art. 56 l. fall.

Il caso
La Suprema Corte con sent. n. 1865/2025 ha esaminato il caso sorto in ragione di una domanda di ammissione al passivo fallimentare in cui i ricorrenti, premettendo che la società fallita vantava un credito nei loro confronti, deducevano che detto credito si era estinto per effetto di una compensazione tra crediti e debiti sorti prima del fallimento. In particolare, si trattava di crediti da lavoro, crediti di finanziamento soci e crediti derivanti dall’attività di amministratore.
Il Tribunale di Catania, in sede di verifica dello stato passivo, aveva riconosciuto la possibilità di operare una compensazione tra crediti da lavoro e crediti vantati dai soci, escludendo però la compensazione relativa ai crediti postergati relativi al finanziamento soci, sostenendo “l’impossibilità di opporre in compensazione gli importi asseritamente spettanti quale rimborso finanziamenti”, poiché la portata precettiva del divieto sancito dall’art. 2467 c.c., posta a tutela dei creditori sociali, impedisce tale compensazione. Le ricorrenti proponevano ricorso in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2467 c.c. e 56 l. fall.
L’analisi della Corte
La Corte suprema ha ritenuto le argomentazioni sostenute dalle ricorrenti non condivisibili confermando la tesi del giudice di primo grado.
Tuttavia, prima di giungere a tale conclusione, si è soffermata sul contenuto delle due norme al fine di individuare un paradigma giuridico applicabile per superare l’antinomia tra i due istituti. Ha pertanto osservato che:
- L’art. 56 l. fall., al comma 1, dispone che i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Il comma 2, poi, esclude la compensazione “se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore”.
- L’art. 2467 c.c. prevede, invece, che il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio economico finanziario è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.
Ed è proprio dall’analisi di dette norme che la Corte ha individuato un’interferenza applicativa che rende i due istituti incompatibili tra loro.
L’interferenza applicativa rilevata dalla Corte
Nella sentenza analizzata la Corte ha focalizzato l’attenzione sui seguenti punti:
- La postergazione disposta dall’art. 2467 c.c., tipicamente riferita ai finanziamenti dei soci, è posta come norma inderogabile, volta a tutelare la par condicio creditorum e la stabilità della struttura societaria. Opera, infatti, anche durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali. Ciò rende il diritto del socio alla restituzione del “finanziamento” inesigibile finché la società è a rischio di insolvenza;
- La compensazione disposta dall’art. 56 l. fall., invece, permette l’estinzione di due debiti reciproci fino alla loro concorrenza, anche in presenza di un fallimento.
Di conseguenza, osserva la Corte, ammettere la compensazione del credito postergato significherebbe vanificare la tutela effettiva dei creditori sociali che l’art. 2467 c.c. mira a salvaguardare, in quanto comporterebbe una riduzione dell’attivo destinato alla loro soddisfazione.
In altre parole, i crediti qualificati come “postergati” ex art. 2467 c.c. non sono compensabili con altri crediti sorti anteriormente alla crisi, neanche se sussistono altri debiti del fallito.
Diversamente ragionando si infrangerebbe lo scopo oggettivo del disposto normativo contenuto nell’art. 2467 c.c.
Da qui la conclusione che il credito postergato deve essere preso in considerazione, in sede satisfattoria, solo dopo che tutti gli altri crediti concorsuali risultino soddisfatti; tale credito non risulta pertanto “comparabile” ai fini dell’applicazione della compensazione ex art. 56 l. fall., con altro controcredito.
Il principio di diritto enunciato
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso affermando il principio di diritto per cui “il rapporto tra l’istituto della postergazione dei crediti da rimborso dei finanziamenti dei soci, regolato dall’art. 2467 cod. civ., e quello della compensazione in sede fallimentare di cui all’art. 56 l. fall. si pone in termini di ontologica incompatibilità, nel senso che il creditore postergato non può compensare nella predetta sede i crediti di cui al menzionato art. 2467 cod. civ. con gli eventuali debiti verso il fallito, dovendosi ritenere inderogabile la finalità di protezione dei creditori sociali anche rispetto alle ragioni poste a fondamento della possibilità per il creditore in bonis di compensare il proprio diritto con quello del debitore assoggettato alla procedura concorsuale”.
Con la sentenza n. 1865/2025 la Corte ha avuto la possibilità di chiarire che l’istituto della postergazione non è un semplice criterio di graduazione, ma una regola inderogabile di protezione dei creditori sociali, che pertanto si pone in una posizione privilegiata rispetto alla possibilità di compensazione in sede fallimentare. Infatti poiché la compensazione può ledere i diritti dei creditori che si trovano in posizione di prelazione o di postergazione, essa può essere concessa solo nei limiti e secondo le modalità previste dalla legge fallimentare. La tutela dei creditori sociali, infatti, deve prevalere anche rispetto alle ragioni poste a fondamento della compensazione fallimentare.
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