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Bancarotta Documentale: Quando il Dolo Fa la Differenza

La Cassazione ribadisce: irregolarità contabili insufficienti per condannare senza prova chiara del dolo specifico.

Il ruolo centrale del dolo nella bancarotta documentale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33575 del 2022, ha annullato una condanna per bancarotta documentale in un caso dove l’imputato era stato accusato di non aver tenuto in modo corretto le scritture contabili, sul presupposto che l’irregolarità della contabilità fosse sufficiente per dimostrare il dolo, vale a dire l’intenzione di nascondere beni o creare confusione nel patrimonio aziendale. La difesa ha impugnato la decisione, argomentando l'assenza di elementi probatori idonei a dimostrare la sussistenza del dolo specifico richiesto per la configurazione del reato. Secondo la tesi difensiva, l'irregolarità nella gestione dei libri contabili, considerata isolatamente, non costituisce prova sufficiente di una volontà fraudolenta. La decisione della Corte: La Cassazione ha accolto il ricorso, chiarendo che per configurare il reato di bancarotta documentale è necessaria la prova dell'intenzione dolosa, non semplicemente delle carenze nella documentazione. In altre parole, non basta l’assenza di una corretta gestione contabile per dimostrare il dolo; deve essere provato che l’imputato abbia agito intenzionalmente per frodare i creditori. Conclusione: La Corte sottolinea che, per una condanna per bancarotta documentale, non sono sufficienti le irregolarità contabili; è necessaria una prova chiara del dolo, ossia l’intenzione di arrecare danno o occultare beni.

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