Con sentenza del 4.72024 n. 36775, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di sequestro di dati digitali presso un professionista (commercialista) coinvolto in un’indagine per frode fiscale legata all'esterovestizione fittizia di una residenza fiscale. La questione principale affrontata dalla Corte riguardava la legittimità e i limiti del sequestro di dispositivi e dati elettronici necessari per le indagini. I Tre punti chiave su cui focalizzarsi riguardano: Pertinenzialità del sequestro: La Cassazione ha ribadito che il sequestro dei beni digitali presso un professionista è legittimo solo se strettamente connesso al reato contestato. Il principio della pertinenzialità implica che non è possibile sottoporre a sequestro un’intera massa di dati senza che vi sia un'adeguata giustificazione sulla loro rilevanza per l'indagine. La Corte ha sottolineato che, per evitare sequestri abusivi o eccessivamente invasivi, occorre sempre indicare quali dati o beni digitali sono necessari per provare il reato, evitando di includere materiale estraneo. Copia forense e tutela dei diritti del professionista: nel corso del sequestro, la Corte ha posto l’accento sull’importanza di ridurre al minimo l’impatto negativo sull’attività del professionista, specie quando i beni sequestrati sono strumenti di lavoro essenziali come computer o server. In particolare, si è evidenziata la necessità di ricorrere alla copia forense dei dispositivi sul posto. Questo permette di preservare le prove senza compromettere la continuità lavorativa e senza violare il diritto alla difesa del professionista. Proporzionalità del sequestro: un altro principio cardine richiamato dalla Cassazione è quello della proporzionalità. Il sequestro deve essere commisurato alle esigenze probatorie del caso, evitando che diventi una misura troppo invasiva o sproporzionata rispetto al reato. In questo caso, la Corte ha censurato un sequestro troppo ampio e non giustificato, richiamando la necessità di distinguere i dati direttamente collegati all'evasione fiscale da quelli che non avevano pertinenza. La mancanza di tale distinzione rende il sequestro illegittimo. Conclusioni: la Suprema Corte ha chiarito che il sequestro di dispositivi e dei dati digitali presso un professionista è legittimo solo se limitato ai dati strettamente pertinenti al reato contestato. È necessario garantire che l’indagine non comprometta l’attività lavorativa, privilegiando soluzioni come la copia forense, che preservano le prove senza interferire eccessivamente con la professione. Inoltre, il sequestro deve essere proporzionato, evitando di includere dati non rilevanti per il caso, pena l’illegittimità del provvedimento.