Marco Cavaliere 1. Premessa. – La fattispecie Con l’ordinanza n. 27361 del 13 ottobre 2025 (Pres. Pazzi, Est. Amatore), la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione è tornata ad affrontare la delicata questione degli effetti che lo scioglimento del contratto, determinato dal fallimento di una delle parti, produce sul diritto del contraente in bonis e del curatore di opporre l’eccezione di inadempimento in sede di verifica del passivo. La vicenda traeva origine dall’opposizione proposta da una società di revisione avverso il decreto di esclusione, pronunciato dal giudice delegato, del credito insinuato a titolo di compenso per l’attività di revisione legale dei conti svolta a favore di una società poi dichiarata insolvente.La curatela (nella specie, una procedura di amministrazione straordinaria) aveva eccepito l’inadempimento parziale e l’esecuzione non diligente della prestazione professionale, lamentando, in particolare, gravi carenze nella revisione dei bilanci e nell’attestazione dei vincoli finanziari.Il Tribunale di Verona, con decreto del 17 marzo 2023, accoglieva solo parzialmente l’opposizione, ammettendo al passivo il credito in misura ridotta e in chirografo, rigettando altresì la pretesa al riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. La società opponente proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 1460 c.c., assumendo che, una volta sciolto il contratto per effetto del fallimento, non sarebbe più consentito sollevare l’eccezione di inadempimento, istituto funzionale alla conservazione del vincolo negoziale. 2. L’efficacia ex nunc dello scioglimento del contratto e la persistenza dell’eccezione di inadempimento La Suprema Corte respinge il ricorso, riaffermando un principio di diritto di significativa rilevanza sistematica: «Anche laddove il contratto si sciolga per l’intervenuto fallimento di una delle parti, poiché tale scioglimento ha efficacia ex nunc, ciascuna parte e il curatore del fallimento possono sempre rifiutare il pagamento delle opere e dei servizi per la parte non eseguita o non eseguita a regola d’arte, sollevando eccezione di inadempimento, in quanto ragionando diversamente si imporrebbe al debitore di pagare per intero le prestazioni ricevute, pur se in tutto o in parte non eseguite esattamente». Il dictum si pone in linea di continuità con Cass. Sez. I, 20 novembre 2015, n. 23810, e conferma che lo scioglimento del rapporto contrattuale a seguito della dichiarazione di fallimento non cancella retroattivamente gli effetti già prodotti, ma opera ex nunc, lasciando intatti i diritti e le eccezioni maturate sino a quel momento. Ne consegue che il curatore, chiamato a verificare le pretese creditorie relative a prestazioni professionali rese in esecuzione del contratto poi sciolto, può legittimamente opporre l’inadempimento parziale o imperfetto del contraente, negando il pagamento delle somme pretese per la parte non regolarmente adempiuta. Il principio appare coerente con la logica della par condicio creditorum e con il canone di economicità della gestione fallimentare: la procedura non può sopportare l’onere integrale di prestazioni non eseguite correttamente, pena l’ingiustificato arricchimento del creditore professionista. 3. La funzione dell’eccezione di inadempimento nella fase concorsuale La sentenza in commento offre altresì lo spunto per ribadire la funzione non solo conservativa, ma anche difensiva dell’eccezione di inadempimento, intesa quale strumento di autotutela volto a impedire che il debitore sia costretto a corrispondere il prezzo di una prestazione imperfetta. L’argomento difensivo della ricorrente, secondo cui l’eccezione ex art. 1460 c.c. presupporrebbe un contratto ancora in corso di esecuzione, è respinto con motivazione logico-sistematica: l’eccezione non persegue necessariamente la conservazione del vincolo, ma può essere utilmente sollevata anche a rapporto sciolto, al solo fine di paralizzare la pretesa di controparte per prestazioni inesatte. La Corte valorizza così una lettura sostanziale dell’istituto, che travalica il piano statico del sinallagma contrattuale per proiettarsi in quello dinamico dell’equilibrio tra le prestazioni, anche dopo la cessazione del vincolo negoziale. 4. L’onere probatorio e il ruolo della consulenza tecnica d’ufficio Sotto il profilo processuale, la decisione conferma l’orientamento secondo cui, nell’ambito dell’opposizione allo stato passivo, il creditore opponente è onerato della prova dell’esistenza del credito e del corretto adempimento della propria prestazione, mentre la curatela può limitarsi a sollevare eccezione di inadempimento purché specifica e tempestiva. Di particolare interesse è la precisazione circa la natura della consulenza tecnica d’ufficio: trattandosi di CTU percipiente, essa può legittimamente considerare fatti tecnici “secondari”, anche se non specificamente allegati dalle parti, quando la loro valutazione risulti necessaria per rispondere compiutamente al quesito. In ciò la Corte richiama le Sezioni Unite n. 3086/2022, chiarendo che la distinzione tra “fatti principali” e “fatti secondari” consente di evitare indebite censure di ultrapetizione, come nel caso di specie, in cui le deduzioni del consulente avevano integrato — senza innovare — il quadro contestuale dell’inadempimento. 5. Considerazioni sistematiche e riflessi applicativi La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza che tende a ricomporre l’unità del diritto contrattuale e quello concorsuale, superando l’idea di una cesura netta tra le due dimensioni.Lo scioglimento del contratto, pur determinando la cessazione del vincolo, non elide gli effetti già prodotti né cancella gli obblighi di correttezza e buona fede gravanti sulle parti.Il curatore, in quanto successore a titolo particolare del fallito, può pertanto far valere tutte le eccezioni opponibili dal debitore in bonis, incluse quelle di inadempimento o di inesatto adempimento, per evitare che la massa sopporti prestazioni non utili o dannose. Nell’ambito dei rapporti professionali — come nel caso della revisione legale dei conti — la decisione assume rilievo pratico anche ai fini della valutazione del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.: il mancato adempimento secondo regola d’arte non solo riduce l’entità del credito ammissibile, ma può escludere il riconoscimento del privilegio per difetto del presupposto di “effettività” della prestazione. 6. Conclusioni La Cassazione, con l’ordinanza n. 27361/2025, consolida un orientamento che coniuga rigore sistematico e pragmatismo gestionale: lo scioglimento del contratto per fallimento ha efficacia ex nunc e non impedisce l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento per prestazioni inesatte, anche quando il rapporto sia ormai cessato.Ne deriva un principio di equilibrio tra tutela della massa e rispetto della corrispettività sinallagmatica, che evita di gravare la procedura concorsuale di oneri economici non giustificati da un’effettiva utilità per l’attivo. Autore Marco Cavaliere
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La risoluzione del concordato preventivo liquidatorio tra oggettività dell’inadempimento e perdita della causa concreta
A cura di Marco Cavaliere Nota a Trib. Milano, Sez. II Civile, 21 luglio 2025, Pres. De Simone, Est. Pipicelli 1. Premessa Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Milano affronta con rara chiarezza il tema della risoluzione del concordato preventivo liquidatorio, soffermandosi sui criteri di valutazione della “non scarsa importanza dell’inadempimento” e sulla natura oggettiva del relativo accertamento.Il Collegio — composto dalla Presidente Dott.ssa De Simone e dal Giudice relatore Dott. Pipicelli — si colloca nel solco di un orientamento interpretativo volto a ricondurre la risoluzione del concordato a una verifica sostanziale della funzione economico-sociale della procedura, intesa come strumento di soddisfazione, anche parziale, della massa creditoria. 2. Il caso concreto La vicenda trae origine dal ricorso proposto da due creditori chirografari nei confronti della società debitrice, ammessa nel 2019 a concordato preventivo liquidatorio.Nonostante la proroga semestrale dei termini di esecuzione disposta ex art. 9 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (“Decreto Liquidità”), alla data del 30 giugno 2024 il piano risultava totalmente inadempiuto.Le relazioni del liquidatore giudiziale, prodotte nel procedimento, avevano evidenziato l’assoluta incapacità di realizzare gli asset aziendali (otto esperimenti di vendita andati deserti o con esiti marginali) e l’impossibilità di conseguire anche un pagamento minimo dei creditori chirografari, in violazione della percentuale promessa del 26%.Il Tribunale ha pertanto accertato un’inadempienza strutturale e generalizzata, tale da precludere la realizzazione della causa concreta del concordato e da giustificare la risoluzione del medesimo ai sensi dell’art. 186 l. fall. (ora art. 119 CCII). 3. La gravità dell’inadempimento e la prospettiva oggettiva di valutazione Il giudice meneghino premette che la valutazione della “non scarsa importanza” dell’inadempimento deve essere condotta avendo riguardo al complesso degli obblighi assunti dal debitore verso la massa dei creditori, e non con riferimento al singolo rapporto obbligatorio.Il concordato, infatti, rappresenta un negozio plurisoggettivo e composito, in cui la soddisfazione dei creditori è elemento costitutivo della causa e la cui omologa consegue all’approvazione della maggioranza del ceto creditorio.Ne consegue che la gravità dell’inadempimento deve essere parametrata al mancato raggiungimento dell’obiettivo satisfattivo complessivo del piano, e non all’interesse individuale del creditore istante. 4. La funzione satisfattiva e la perdita della causa in concreto Il Tribunale ha individuato il parametro decisivo della risoluzione nella oggettiva impossibilità di realizzare la soddisfazione dei creditori nei termini concordatari, sottolineando che il venir meno anche di una soddisfazione minima e non irrisoria dei chirografari priva di causa il negozio concordatario.La sentenza richiama in tal senso la Cass., Sez. I, n. 20652 del 31 luglio 2019, la quale ha affermato che il concordato “deve essere risolto […] qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e integralmente quelli privilegiati, salvo che l’inadempimento abbia scarsa importanza, tenuto conto della percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta dal debitore”.Il Collegio valorizza inoltre la Cass., Sez. I, n. 18738 del 13 luglio 2018, che ribadisce come la risoluzione debba essere pronunciata “a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici”. In linea con tali approdi, la sentenza richiama altresì Cass. n. 7942/2010, Cass. n. 13446/2013 e Cass. n. 4398/2015, che hanno posto l’accento sulla irrilevanza dell’imputabilità soggettiva dell’inadempimento, dovendo il giudice verificare solo l’effettiva capacità della procedura di conseguire, in base a criteri di ragionevole previsione, la finalità satisfattiva minima. In altri termini, la gravità dell’inadempimento si traduce nella perdita della causa in concreto del concordato, laddove la procedura non sia più in grado di assicurare — neppure in minima parte — la realizzazione dell’utilità promessa al ceto creditorio. 5. L’insolvenza sopravvenuta e la segnalazione al Pubblico Ministero Il Tribunale ha poi rilevato come la società risultasse attualmente insolvente, con un patrimonio netto negativo di circa € 12,4 milioni e un attivo effettivo incapiente rispetto al passivo concordatario.In applicazione dei principi affermati da Cass., Sez. I, ord. n. 30284 del 14 ottobre 2022 e Cass., Sez. I, ord. n. 7087 del 3 marzo 2022, il giudice ha richiamato la nozione di insolvenza quale situazione di “impotenza strutturale” dell’impresa a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi ordinari.Non essendo stata proposta istanza di apertura della liquidazione giudiziale, il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le determinazioni di competenza. 6. Considerazioni conclusive La decisione milanese si distingue per rigore argomentativo e coerenza sistematica.Essa chiarisce che la risoluzione del concordato preventivo liquidatorio non è rimessa alla valutazione soggettiva della condotta del debitore, bensì alla verifica oggettiva della funzionalità del piano rispetto alla sua causa economico-sociale.Quando il piano perde la capacità di assicurare anche una minima soddisfazione ai creditori, l’inadempimento non può che qualificarsi di grave entità, comportando la caducazione dell’efficacia dell’accordo e la conseguente segnalazione dell’insolvenza. Autore Marco Cavaliere
Rilevazione tempestiva della crisi e amministrazione giudiziaria
A cura di Marco Cavaliere 1.0 La prevenzione della crisi nelle imprese sequestrate: obblighi organizzativi e segnalazioni La riforma della disciplina della crisi d’impresa, attuata mediante il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), ha introdotto un complesso sistema normativo orientato all’emersione anticipata delle situazioni di difficoltà economico-finanziaria, nella prospettiva di una gestione tempestiva ed efficiente delle stesse da parte dell’imprenditore e degli organi a vario titolo coinvolti. In tale contesto, le disposizioni contenute negli artt. 25-octies, 25-novies e 25-decies CCII assumono una rilevanza sistemica, prevedendo un articolato meccanismo di segnalazioni e doveri attivatori, che dovrebbe trovare applicazione anche nell’ambito delle imprese sottoposte ad amministrazione giudiziaria. L’art. 3 CCII, infatti, prevede, per l’imprenditore individuale, l’obbligo di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e di assumere senza indugio le iniziative necessarie per fronteggiarlo; per l’imprenditore collettivo, invece, il medesimo articolo impone l’adozione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, ai sensi dell’art. 2086 c.c., che consenta di cogliere in tempo utile i segnali premonitori della crisi e di porvi rimedio. L’art. 375 CCII ha inciso profondamente su tale disposizione civilistica, introducendo un secondo comma all’art. 2086 c.c., che impone all’imprenditore in forma societaria o collettiva il dovere di istituire un assetto adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche al fine di rilevare tempestivamente la perdita della continuità aziendale e di attivarsi per l’adozione degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi. Conseguentemente, l’art. 377 CCII ha apportato numerose modifiche al codice civile, tra cui spicca l’intervento di cui all’art. 379 CCII, che ha sostituito i commi terzo e quarto dell’art. 2477 c.c., introducendo nuovi criteri quantitativi per l’obbligo di nomina degli organi di controllo o del revisore legale nelle società a responsabilità limitata e nelle società cooperative. In virtù di tali modifiche, le società tenute alla nomina dovranno procedervi entro il termine di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2022, ove superino per due esercizi consecutivi le soglie fissate dalla norma. Il sistema di emersione anticipata della crisi si articola, dunque, su un doppio livello: da un lato, obblighi di monitoraggio in capo all’imprenditore, e dall’altro, doveri di segnalazione e attivazione posti a carico dell’organo di controllo. Quanto al primo profilo, l’imprenditore è tenuto sia a predisporre ex ante un adeguato assetto organizzativo, sia a effettuare un costante monitoraggio della situazione economico-finanziaria della società. Con riferimento agli organi di controllo, l’art. 25-octies CCII impone l’obbligo di segnalare all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per l’accesso alla composizione negoziata della crisi. La segnalazione da parte dei cd. creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate-Riscossione), disciplinata dall’art. 25-novies CCII, è vincolata alla presenza di specifici crediti rilevanti, come dettagliatamente indicato nel primo comma, lett. a), b), c) e d); i termini e le modalità sono regolati dai commi successivi. Ai sensi dell’art. 25-decies CCII, le banche e gli intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB, in caso di revoca, variazione o revisione di affidamenti, sono tenuti a darne comunicazione anche agli organi di controllo societari, se esistenti. Nessuna previsione è tuttavia espressamente dedicata alle imprese sottoposte ad amministrazione giudiziaria, neppure a quelle rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 104 disp. att. c.p.p., pur essendo, a parere di chi scrive, tali imprese soggette ai medesimi obblighi. 2.0 Il ruolo dell’amministratore giudiziario nella rilevazione tempestiva della crisi Da un punto di vista operativo, ci si interroga su chi, una volta nominato l’amministratore giudiziario, sia il soggetto legittimato a istituire l’assetto organizzativo richiesto dall’art. 2086 c.c., ovvero a recepire e attuare le segnalazioni provenienti dagli organi di controllo o dai creditori pubblici qualificati. Ulteriore questione riguarda l’individuazione del soggetto abilitato a richiedere la nomina degli organi di controllo o del revisore, ai sensi dell’art. 2477, commi terzo e quarto, c.c. Tali interrogativi non appaiono affatto oziosi, poiché il d.lgs. n. 159/2011 (Codice Antimafia) non prevede un automatico subentro dell’amministratore giudiziario nella carica di amministratore civilistico della società. L’art. 41, comma 1-ter, CAM, dispone che, in caso di sequestro di partecipazioni sociali idonee a determinare le maggioranze ex art. 2359 c.c., il tribunale può impartire direttive circa la revoca degli amministratori in carica, nominando – ai sensi del comma sesto – l’amministratore giudiziario quale nuovo amministratore della società. In assenza di tale nomina, il tribunale deve comunque disciplinare le modalità di controllo da parte dell’amministratore giudiziario. Pertanto, nei casi in cui venga disposta la revoca dell’amministratore in carica e la contestuale nomina dell’amministratore giudiziario quale legale rappresentante della società, sarà quest’ultimo, previo nulla osta del giudice delegato, a provvedere: (i) all’istituzione degli assetti organizzativi di cui all’art. 2086, secondo comma, c.c.; (ii) all’adozione delle misure conseguenti alla segnalazione ricevuta ai sensi degli artt. 25-octies e 25-novies CCII; (iii) all’eventuale adeguamento dell’atto costitutivo e alla nomina degli organi di controllo ai sensi dell’art. 2477 c.c. L’autorizzazione giudiziale è imprescindibile e dovrà essere richiesta al giudice delle misure di prevenzione o, in ambito penale, al giudice per le indagini preliminari. In caso contrario, l’amministratore giudiziario potrebbe incorrere in responsabilità civile per colpa grave o dolo, in responsabilità amministrativa (ad es. per omessa convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2631 c.c.), nonché, in ipotesi di gravi irregolarità, nella revoca dell’incarico ad opera del tribunale. Più problematica è l’ipotesi in cui il tribunale non abbia disposto né la revoca dell’amministratore civile né la nomina dell’amministratore giudiziario quale legale rappresentante, né abbia stabilito modalità concrete di controllo. In tale evenienza, la posizione dell’amministratore giudiziario risulta ambigua, non potendo questi agire iure proprio in sostituzione dell’organo amministrativo, né essendo titolare ex lege dei poteri gestori. In giurisprudenza è stato affermato che il sequestro di azienda e partecipazioni non comporta ex se la trasformazione dell’amministratore giudiziario in amministratore civilistico; occorre, a tal fine, una delibera assembleare o un provvedimento espresso del tribunale. Una soluzione praticabile è che l’amministratore giudiziario, nei casi in cui l’amministratore in carica coincida con la figura dell’imprenditore (come nelle imprese a connotazione familiare), formuli richiami e solleciti formali, invitandolo ad adempiere agli obblighi di cui all’art. 3
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Lo scioglimento del rapporto contrattuale per effetto del fallimento e la proponibilità dell’eccezione di inadempimento: nota a Cass., Sez. I, 13 ottobre 2025, n. 27361
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La vicenda traeva origine dall’opposizione proposta da una società di revisione avverso il decreto di esclusione, pronunciato dal giudice delegato, del credito insinuato a titolo di compenso per l’attività di revisione legale dei conti svolta a favore di una società poi dichiarata insolvente.La curatela (nella specie, una procedura di amministrazione straordinaria) aveva eccepito l’inadempimento parziale e l’esecuzione non diligente della prestazione professionale, lamentando, in particolare, gravi carenze nella revisione dei bilanci e nell’attestazione dei vincoli finanziari.Il Tribunale di Verona, con decreto del 17 marzo 2023, accoglieva solo parzialmente l’opposizione, ammettendo al passivo il credito in misura ridotta e in chirografo, rigettando altresì la pretesa al riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. La società opponente proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 1460 c.c., assumendo che, una volta sciolto il contratto per effetto del fallimento, non sarebbe più consentito sollevare l’eccezione di inadempimento, istituto funzionale alla conservazione del vincolo negoziale. 2. 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La funzione dell’eccezione di inadempimento nella fase concorsuale La sentenza in commento offre altresì lo spunto per ribadire la funzione non solo conservativa, ma anche difensiva dell’eccezione di inadempimento, intesa quale strumento di autotutela volto a impedire che il debitore sia costretto a corrispondere il prezzo di una prestazione imperfetta. L’argomento difensivo della ricorrente, secondo cui l’eccezione ex art. 1460 c.c. presupporrebbe un contratto ancora in corso di esecuzione, è respinto con motivazione logico-sistematica: l’eccezione non persegue necessariamente la conservazione del vincolo, ma può essere utilmente sollevata anche a rapporto sciolto, al solo fine di paralizzare la pretesa di controparte per prestazioni inesatte. La Corte valorizza così una lettura sostanziale dell’istituto, che travalica il piano statico del sinallagma contrattuale per proiettarsi in quello dinamico dell’equilibrio tra le prestazioni, anche dopo la cessazione del vincolo negoziale. 4. L’onere probatorio e il ruolo della consulenza tecnica d’ufficio Sotto il profilo processuale, la decisione conferma l’orientamento secondo cui, nell’ambito dell’opposizione allo stato passivo, il creditore opponente è onerato della prova dell’esistenza del credito e del corretto adempimento della propria prestazione, mentre la curatela può limitarsi a sollevare eccezione di inadempimento purché specifica e tempestiva. Di particolare interesse è la precisazione circa la natura della consulenza tecnica d’ufficio: trattandosi di CTU percipiente, essa può legittimamente considerare fatti tecnici “secondari”, anche se non specificamente allegati dalle parti, quando la loro valutazione risulti necessaria per rispondere compiutamente al quesito. In ciò la Corte richiama le Sezioni Unite n. 3086/2022, chiarendo che la distinzione tra “fatti principali” e “fatti secondari” consente di evitare indebite censure di ultrapetizione, come nel caso di specie, in cui le deduzioni del consulente avevano integrato — senza innovare — il quadro contestuale dell’inadempimento. 5. Considerazioni sistematiche e riflessi applicativi La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza che tende a ricomporre l’unità del diritto contrattuale e quello concorsuale, superando l’idea di una cesura netta tra le due dimensioni.Lo scioglimento del contratto, pur determinando la cessazione del vincolo, non elide gli effetti già prodotti né cancella gli obblighi di correttezza e buona fede gravanti sulle parti.Il curatore, in quanto successore a titolo particolare del fallito, può pertanto far valere tutte le eccezioni opponibili dal debitore in bonis, incluse quelle di inadempimento o di inesatto adempimento, per evitare che la massa sopporti prestazioni non utili o dannose. Nell’ambito dei rapporti professionali — come nel caso della revisione legale dei conti — la decisione assume rilievo pratico anche ai fini della valutazione del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.: il mancato adempimento secondo regola d’arte non solo riduce l’entità del credito ammissibile, ma può escludere il riconoscimento del privilegio per difetto del presupposto di “effettività” della prestazione. 6. Conclusioni La Cassazione, con l’ordinanza n. 27361/2025, consolida un orientamento che coniuga rigore sistematico e pragmatismo gestionale: lo scioglimento del contratto per fallimento ha efficacia ex nunc e non impedisce l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento per prestazioni inesatte, anche quando il rapporto sia ormai cessato.Ne deriva un principio di equilibrio tra tutela della massa e rispetto della corrispettività sinallagmatica, che evita di gravare la procedura concorsuale di oneri economici non giustificati da un’effettiva utilità per l’attivo. 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Il caso concreto La vicenda trae origine dal ricorso proposto da due creditori chirografari nei confronti della società debitrice, ammessa nel 2019 a concordato preventivo liquidatorio.Nonostante la proroga semestrale dei termini di esecuzione disposta ex art. 9 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (“Decreto Liquidità”), alla data del 30 giugno 2024 il piano risultava totalmente inadempiuto.Le relazioni del liquidatore giudiziale, prodotte nel procedimento, avevano evidenziato l’assoluta incapacità di realizzare gli asset aziendali (otto esperimenti di vendita andati deserti o con esiti marginali) e l’impossibilità di conseguire anche un pagamento minimo dei creditori chirografari, in violazione della percentuale promessa del 26%.Il Tribunale ha pertanto accertato un’inadempienza strutturale e generalizzata, tale da precludere la realizzazione della causa concreta del concordato e da giustificare la risoluzione del medesimo ai sensi dell’art. 186 l. fall. (ora art. 119 CCII). 3. 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La funzione satisfattiva e la perdita della causa in concreto Il Tribunale ha individuato il parametro decisivo della risoluzione nella oggettiva impossibilità di realizzare la soddisfazione dei creditori nei termini concordatari, sottolineando che il venir meno anche di una soddisfazione minima e non irrisoria dei chirografari priva di causa il negozio concordatario.La sentenza richiama in tal senso la Cass., Sez. I, n. 20652 del 31 luglio 2019, la quale ha affermato che il concordato “deve essere risolto […] qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e integralmente quelli privilegiati, salvo che l’inadempimento abbia scarsa importanza, tenuto conto della percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta dal debitore”.Il Collegio valorizza inoltre la Cass., Sez. I, n. 18738 del 13 luglio 2018, che ribadisce come la risoluzione debba essere pronunciata “a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici”. In linea con tali approdi, la sentenza richiama altresì Cass. n. 7942/2010, Cass. n. 13446/2013 e Cass. n. 4398/2015, che hanno posto l’accento sulla irrilevanza dell’imputabilità soggettiva dell’inadempimento, dovendo il giudice verificare solo l’effettiva capacità della procedura di conseguire, in base a criteri di ragionevole previsione, la finalità satisfattiva minima. In altri termini, la gravità dell’inadempimento si traduce nella perdita della causa in concreto del concordato, laddove la procedura non sia più in grado di assicurare — neppure in minima parte — la realizzazione dell’utilità promessa al ceto creditorio. 5. L’insolvenza sopravvenuta e la segnalazione al Pubblico Ministero Il Tribunale ha poi rilevato come la società risultasse attualmente insolvente, con un patrimonio netto negativo di circa € 12,4 milioni e un attivo effettivo incapiente rispetto al passivo concordatario.In applicazione dei principi affermati da Cass., Sez. I, ord. n. 30284 del 14 ottobre 2022 e Cass., Sez. I, ord. n. 7087 del 3 marzo 2022, il giudice ha richiamato la nozione di insolvenza quale situazione di “impotenza strutturale” dell’impresa a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi ordinari.Non essendo stata proposta istanza di apertura della liquidazione giudiziale, il Collegio ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le determinazioni di competenza. 6. Considerazioni conclusive La decisione milanese si distingue per rigore argomentativo e coerenza sistematica.Essa chiarisce che la risoluzione del concordato preventivo liquidatorio non è rimessa alla valutazione soggettiva della condotta del debitore, bensì alla verifica oggettiva della funzionalità del piano rispetto alla sua causa economico-sociale.Quando il piano perde la capacità di assicurare anche una minima soddisfazione ai creditori, l’inadempimento non può che qualificarsi di grave entità, comportando la caducazione dell’efficacia dell’accordo e la conseguente segnalazione dell’insolvenza. Autore Marco Cavaliere
Rilevazione tempestiva della crisi e amministrazione giudiziaria
A cura di Marco Cavaliere 1.0 La prevenzione della crisi nelle imprese sequestrate: obblighi organizzativi e segnalazioni La riforma della disciplina della crisi d’impresa, attuata mediante il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), ha introdotto un complesso sistema normativo orientato all’emersione anticipata delle situazioni di difficoltà economico-finanziaria, nella prospettiva di una gestione tempestiva ed efficiente delle stesse da parte dell’imprenditore e degli organi a vario titolo coinvolti. In tale contesto, le disposizioni contenute negli artt. 25-octies, 25-novies e 25-decies CCII assumono una rilevanza sistemica, prevedendo un articolato meccanismo di segnalazioni e doveri attivatori, che dovrebbe trovare applicazione anche nell’ambito delle imprese sottoposte ad amministrazione giudiziaria. L’art. 3 CCII, infatti, prevede, per l’imprenditore individuale, l’obbligo di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e di assumere senza indugio le iniziative necessarie per fronteggiarlo; per l’imprenditore collettivo, invece, il medesimo articolo impone l’adozione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, ai sensi dell’art. 2086 c.c., che consenta di cogliere in tempo utile i segnali premonitori della crisi e di porvi rimedio. L’art. 375 CCII ha inciso profondamente su tale disposizione civilistica, introducendo un secondo comma all’art. 2086 c.c., che impone all’imprenditore in forma societaria o collettiva il dovere di istituire un assetto adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche al fine di rilevare tempestivamente la perdita della continuità aziendale e di attivarsi per l’adozione degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi. Conseguentemente, l’art. 377 CCII ha apportato numerose modifiche al codice civile, tra cui spicca l’intervento di cui all’art. 379 CCII, che ha sostituito i commi terzo e quarto dell’art. 2477 c.c., introducendo nuovi criteri quantitativi per l’obbligo di nomina degli organi di controllo o del revisore legale nelle società a responsabilità limitata e nelle società cooperative. In virtù di tali modifiche, le società tenute alla nomina dovranno procedervi entro il termine di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2022, ove superino per due esercizi consecutivi le soglie fissate dalla norma. Il sistema di emersione anticipata della crisi si articola, dunque, su un doppio livello: da un lato, obblighi di monitoraggio in capo all’imprenditore, e dall’altro, doveri di segnalazione e attivazione posti a carico dell’organo di controllo. Quanto al primo profilo, l’imprenditore è tenuto sia a predisporre ex ante un adeguato assetto organizzativo, sia a effettuare un costante monitoraggio della situazione economico-finanziaria della società. Con riferimento agli organi di controllo, l’art. 25-octies CCII impone l’obbligo di segnalare all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per l’accesso alla composizione negoziata della crisi. La segnalazione da parte dei cd. creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate-Riscossione), disciplinata dall’art. 25-novies CCII, è vincolata alla presenza di specifici crediti rilevanti, come dettagliatamente indicato nel primo comma, lett. a), b), c) e d); i termini e le modalità sono regolati dai commi successivi. Ai sensi dell’art. 25-decies CCII, le banche e gli intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB, in caso di revoca, variazione o revisione di affidamenti, sono tenuti a darne comunicazione anche agli organi di controllo societari, se esistenti. Nessuna previsione è tuttavia espressamente dedicata alle imprese sottoposte ad amministrazione giudiziaria, neppure a quelle rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 104 disp. att. c.p.p., pur essendo, a parere di chi scrive, tali imprese soggette ai medesimi obblighi. 2.0 Il ruolo dell’amministratore giudiziario nella rilevazione tempestiva della crisi Da un punto di vista operativo, ci si interroga su chi, una volta nominato l’amministratore giudiziario, sia il soggetto legittimato a istituire l’assetto organizzativo richiesto dall’art. 2086 c.c., ovvero a recepire e attuare le segnalazioni provenienti dagli organi di controllo o dai creditori pubblici qualificati. Ulteriore questione riguarda l’individuazione del soggetto abilitato a richiedere la nomina degli organi di controllo o del revisore, ai sensi dell’art. 2477, commi terzo e quarto, c.c. Tali interrogativi non appaiono affatto oziosi, poiché il d.lgs. n. 159/2011 (Codice Antimafia) non prevede un automatico subentro dell’amministratore giudiziario nella carica di amministratore civilistico della società. L’art. 41, comma 1-ter, CAM, dispone che, in caso di sequestro di partecipazioni sociali idonee a determinare le maggioranze ex art. 2359 c.c., il tribunale può impartire direttive circa la revoca degli amministratori in carica, nominando – ai sensi del comma sesto – l’amministratore giudiziario quale nuovo amministratore della società. In assenza di tale nomina, il tribunale deve comunque disciplinare le modalità di controllo da parte dell’amministratore giudiziario. Pertanto, nei casi in cui venga disposta la revoca dell’amministratore in carica e la contestuale nomina dell’amministratore giudiziario quale legale rappresentante della società, sarà quest’ultimo, previo nulla osta del giudice delegato, a provvedere: (i) all’istituzione degli assetti organizzativi di cui all’art. 2086, secondo comma, c.c.; (ii) all’adozione delle misure conseguenti alla segnalazione ricevuta ai sensi degli artt. 25-octies e 25-novies CCII; (iii) all’eventuale adeguamento dell’atto costitutivo e alla nomina degli organi di controllo ai sensi dell’art. 2477 c.c. L’autorizzazione giudiziale è imprescindibile e dovrà essere richiesta al giudice delle misure di prevenzione o, in ambito penale, al giudice per le indagini preliminari. In caso contrario, l’amministratore giudiziario potrebbe incorrere in responsabilità civile per colpa grave o dolo, in responsabilità amministrativa (ad es. per omessa convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2631 c.c.), nonché, in ipotesi di gravi irregolarità, nella revoca dell’incarico ad opera del tribunale. Più problematica è l’ipotesi in cui il tribunale non abbia disposto né la revoca dell’amministratore civile né la nomina dell’amministratore giudiziario quale legale rappresentante, né abbia stabilito modalità concrete di controllo. In tale evenienza, la posizione dell’amministratore giudiziario risulta ambigua, non potendo questi agire iure proprio in sostituzione dell’organo amministrativo, né essendo titolare ex lege dei poteri gestori. In giurisprudenza è stato affermato che il sequestro di azienda e partecipazioni non comporta ex se la trasformazione dell’amministratore giudiziario in amministratore civilistico; occorre, a tal fine, una delibera assembleare o un provvedimento espresso del tribunale. Una soluzione praticabile è che l’amministratore giudiziario, nei casi in cui l’amministratore in carica coincida con la figura dell’imprenditore (come nelle imprese a connotazione familiare), formuli richiami e solleciti formali, invitandolo ad adempiere agli obblighi di cui all’art. 3