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La responsabilità degli organi sociali nell’aggravamento del dissesto: falso in bilancio e prosecuzione illegittima dell’attività

Il contributo analizza una recente pronuncia giurisprudenziale in materia di responsabilità degli organi sociali, con particolare riferimento alla prosecuzione dell’attività d’impresa in presenza di una causa di scioglimento per perdita integrale del capitale. La vicenda origina da un’operazione straordinaria – un contratto di affitto di ramo d’azienda – che ha determinato l’iscrizione in bilancio, al valore nominale, di un credito divenuto inesigibile, in violazione dei principi contabili di veridicità e prudenza, alterando significativamente la rappresentazione della situazione patrimoniale. L’analisi si focalizza sui doveri inderogabili del consiglio di amministrazione, sulla responsabilità omissiva dei consiglieri privi di delega e sull’inadempimento degli obblighi di vigilanza da parte del collegio sindacale. Viene infine esaminato il criterio della differenza tra i netti patrimoniali previsto dall’art. 2486, comma 3, c.c., come parametro per la determinazione del danno da aggravamento del dissesto.

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Analisi della fattispecie

La vicenda prende avvio da un’operazione posta in essere da una società per azioni operante nel settore turistico, la quale aveva stipulato un contratto di affitto di ramo d’azienda con una società già in precaria situazione finanziaria. Da tale rapporto contrattuale era scaturito un credito di oltre quattro milioni di euro, maturato a seguito di pagamenti effettuati dalla concedente verso fornitori e della mancata restituzione di incassi di sua spettanza. La società locataria, successivamente, è stata dichiarata fallita.

Nonostante l’evidente criticità e l’inesigibilità del credito, il consiglio di amministrazione, con il parere favorevole del collegio sindacale, ha deliberato l’approvazione del bilancio senza operare alcuna svalutazione, mantenendo la posta attiva al valore nominale. Tale scelta ha determinato una rappresentazione contabile non veritiera: il patrimonio netto, che risultava in realtà negativo, veniva riportato in positivo, celando di fatto la perdita integrale del capitale sociale e consentendo una prosecuzione dell’attività priva di fondamento giuridico e patrimoniale.

Principi contabili, doveri sociali e regime di responsabilità

La fattispecie coinvolge diverse discipline. Innanzitutto, il principio di redazione del bilancio: l’art. 2426, comma 1, n. 8), codice civile, richiede che i crediti siano iscritti tenendo conto del loro “presumibile valore di realizzo”. Tale principio è ulteriormente disciplinato dagli OIC (in particolare OIC 15 e OIC 29), che impongono di considerare eventi successivi alla chiusura dell’esercizio, ma riferibili a fatti già in essere (ad esempio, il fallimento del debitore).

Poi rileva la disciplina della perdita del capitale sociale, prevista dagli artt. 2447 e 2484 c.c., che impone ai medesimi amministratori di convocare senza indugio l’assemblea per la ricapitalizzazione o la messa in liquidazione. In caso di causa di scioglimento (art. 2484), l’art. 2486 c.c. stabilisce che, fino alla consegna dei libri sociali, gli amministratori possono gestire la società solo ai fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, e sono, in caso contrario, personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori e ai terzi.

Con la novella del codice della crisi (D.Lgs. n. 14/2019), il terzo comma dell’art. 2486 ha codificato il criterio principale di quantificazione del danno come differenza tra i netti patrimoniali, salvo prova in senso contrario, e ha previsto un criterio alternativo (il confronto tra attivo e passivo) solo quando i netti non siano determinabili in ragione dell’assenza o irregolarità delle scritture contabili.

In giurisprudenza è ormai condiviso che, ove si verifichi una causa di scioglimento e si prosegua l’attività non conservativa, gli amministratori – ed eventualmente i sindaci in concorso – possono essere chiamati a rispondere del danno derivante dall’aggravamento del dissesto.

Applicazione dell’art. 2486 c.c. al caso concreto

Nel caso in esame, l’organo amministrativo approvò il bilancio omettendo qualsiasi svalutazione del credito milionario, nonostante l’evidente rischio di insorgenza della crisi del debitore. Questa condotta ha determinato una falsificazione contabile: anziché un patrimonio netto negativo di quasi 2 milioni, il bilancio mostrava un risultato superficiale positivo di oltre 1 milione. Tale falsa rappresentazione ha occultato la perdita integrale del capitale sociale, esonerando gli amministratori dall’obbligo di convocare l’assemblea o avviare la liquidazione.

Invece di adottare misure conservative o liquidatorie, gli amministratori proseguirono con l’attività aziendale, aggravando il dissesto e trasferendo il rischio residuo sui creditori sociali. Questa gestione illegittima configura un comportamento idoneo a integrare l’azione di responsabilità per gestione non conservativa dopo il verificarsi della causa di scioglimento.

La decisione giudiziale ha attribuito responsabilità solidale a ciascuna componente degli organi sociali: all’amministratore delegato per l’attività operativa e la proposta del bilancio falso; ai consiglieri non esecutivi per non essersi opposti, in quanto il dovere di informarsi e vigilare grava su tutto il consiglio; al collegio sindacale per non aver esercitato i poteri sostitutivi e non aver svolto un controllo diligente (art. 2403 c.c.).

La pronuncia appare allineata con plurimi orientamenti che affermano che l’approvazione del bilancio è atto non delegabile, e che il dovere di agire informati impone verifiche autonome e attive da ciascun consigliere.

Quantificazione del danno: il criterio della differenza dei netti patrimoniali

Una volta accertata la responsabilità, il giudice ha applicato il metodo della “differenza dei netti patrimoniali” previsto dall’art. 2486, comma 3, c.c., confrontando il patrimonio netto rettificato al momento della causa di scioglimento con quello al momento dell’apertura della procedura concorsuale o cessazione dell’attività. La differenza negativa costituisce il danno da aggravamento del dissesto.

Nel caso recitato, tale differenza ammonta a circa 193.000 euro, corrispondente all’ulteriore perdita generata nel periodo in cui l’attività è proseguita indebitamente.

Il codice prevede che i costi sostenuti (o da sostenere) nella fase di liquidazione siano detratti, applicando un criterio di normalità

Va osservato che se la ricostruzione dei netti patrimoniali non fosse possibile a causa dell’assenza o irregolarità delle scritture contabili, la norma prevede che il danno venga liquidato, in via residuale, attraverso il confronto tra attivo e passivo accertati nella procedura (criterio “deficit fallimentare”).

La dottrina e la giurisprudenza hanno precisato che l’applicazione del criterio dei netti patrimoniali è presunzione relativa, suscettibile di prova contraria, e che spetta al convenuto dimostrare che il danno è inferiore o che un criterio alternativo meglio risponda alla realtà del caso.

La Suprema Corte ha recentemente affermato che il criterio codificato nell’art. 2486 c. 3 deve essere applicato anche nei giudizi pendenti al momento della riforma, in quanto norma “valutativa” e non sostanziale.

Conclusioni

Il caso in esame rappresenta un chiaro esempio della stretta correlazione tra attendibilità dell’informazione contabile e corretto esercizio della funzione gestoria. L’omessa svalutazione di un credito chiaramente inesigibile non può essere ricondotta a una mera scelta discrezionale, ma integra una condotta potenzialmente illecita, idonea a determinare responsabilità risarcitorie rilevanti.

La pronuncia conferma che le responsabilità sono inderogabilmente solidali e non delegabili: ogni membro degli organi sociali è chiamato a rispondere, non solo per ciò che fa, ma anche per ciò che omette, se trascurando il dovere di vigilanza e informazione.

Infine, la quantificazione del danno mediante la differenza dei netti patrimoniali costituisce oggi il criterio cardine – salvo prova contraria o impossibilità tecnico‑contabile – per attribuire l’aggravamento del dissesto a ciascun soggetto responsabile, valorizzando il rapporto causale tra condotta imperfetta e pregiudizio effettivo

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