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Sindacato giudiziale e valutazioni di bilancio

a cura dell'avv. Pierpaolo Galimi

Secondo il tribunale di Milano non è compromettibile con arbitrato l'impugnazioni del bilancio quando siano dedotti vizi di verità, chiarezza e correttezza.

Premessa

L’impugnazione delle delibere di approvazione del bilancio rappresenta uno degli strumenti più rilevanti a tutela dei soci, specialmente di minoranza. La recente pronuncia del Tribunale di Milano – n. 4806 del 27.02.2025 – offre spunti di riflessione sui limiti del sindacato giurisdizionale in materia contabile. Il giudizio sulla legittimità di una delibera di bilancio non si traduce in una surroga delle scelte gestionali degli amministratori, ma si concentra sulla verifica del rispetto dei principi di verità, chiarezza e correttezza che devono presiedere alla redazione del documento contabile.

Distinzione tra legittimità e merito

Il nucleo motivazionale della pronuncia risiede nella chiara delimitazione dell’ambito del sindacato giudiziale sulle delibere di approvazione del bilancio. Il Tribunale ha evidenziato come l’oggetto del giudizio non sia l’accertamento della fondatezza di una singola posta contabile, bensì la verifica della legittimità della delibera assembleare che approva il bilancio. Tale distinzione segna il confine invalicabile dell’intervento giudiziale: al magistrato non compete sostituirsi agli amministratori nelle valutazioni di opportunità economica o tecnica, ma unicamente verificare che le scelte contabili adottate rispettino i principi inderogabili di verità, chiarezza e correttezza. In questa prospettiva, una delibera non può essere invalidata se la rappresentazione contabile, pur opinabile sotto il profilo gestionale, è adeguatamente supportata da documentazione e non contrasta con i criteri legali di redazione del bilancio.

La vicenda trae origine dall’approvazione del bilancio di una società consortile costituita per l’esecuzione di opere infrastrutturali ferroviarie. La socia di minoranza ha impugnato la delibera, contestando la riduzione – rispetto agli esercizi precedenti – di una posta passiva per “fatture da ricevere” in favore della consorziata esecutrice, inizialmente iscritta per circa 2,12 milioni di euro. Secondo l’impugnante, tale rettifica violava i principi sanciti dagli artt. 2423 e 2423-bis c.c. e integrava un abuso del voto maggioritario.

La società, dal canto suo, ha sollevato in via preliminare l’eccezione di compromesso arbitrale, fondata su clausola statutaria, e nel merito ha difeso la correttezza della rettifica, giustificata dall’ultimazione dell’appalto e dall’allineamento ai SAL certificati, che attestavano un credito residuo effettivo pari a circa euro 471.000 oltre IVA.

Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dall’art. 2423 c.c., che impone la redazione del bilancio in modo veritiero, corretto e chiaro, e dall’art. 2423-bis c.c., che detta i criteri di valutazione. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente ribadito che, sebbene il bilancio sia frutto di scelte tecniche, esso è sottoposto a regole giuridiche inderogabili, la cui violazione determina l’illiceità del documento contabile e la nullità della delibera assembleare di approvazione.

 

Istituti giuridici coinvolti

Il primo istituto è la non compromettibilità in arbitri delle impugnazioni della delibera di approvazione del bilancio quando siano dedotti vizi di verità, chiarezza e correttezza. La Cassazione (n. 12583/2018) considera queste controversie estranee alla disponibilità delle parti, in quanto la reazione dell’ordinamento alla violazione dei canoni di redazione del bilancio prescinde dalla volontà dei soggetti coinvolti.

Il secondo istituto è l’onere della prova nei giudizi di impugnazione del bilancio. La parte impugnante sopporta il carico di dimostrare il vizio dedotto: quando si contesta la veridicità delle poste, non basta evidenziare scostamenti storici, ma occorre provare l’erroneità sostanziale della rappresentazione contabile; se, invece, si lamenta un difetto di chiarezza, l’onere può ritenersi assolto mediante la stessa produzione del bilancio e dei suoi allegati da cui emerga l’opacità informativa.

 
Il terzo tema è la sindacabilità delle valutazioni tecnico-contabili degli amministratori. La Cassazione ha chiarito che le scelte di bilancio sono sindacabili quando si pongano oltre il perimetro di ragionevolezza o contrastino con i principi di verità, correttezza e chiarezza; solo le opzioni che residuano nell’ambito dell’insindacabile merito gestorio sfuggono al controllo giudiziale.

Il giudizio del tribunale

Il Tribunale ha anzitutto respinto l’eccezione di compromesso, riaffermando la competenza del giudice ordinario. Le impugnazioni del bilancio per violazione dei principi di verità, chiarezza e correttezza riguardano infatti diritti indisponibili e, come tali, non possono essere deferite ad arbitri, neppure in presenza di una clausola statutaria.

Nel merito, il Collegio ha precisato che la causa non aveva ad oggetto l’accertamento del credito tra consorziata e consortile, bensì la verifica della validità della delibera di approvazione del bilancio 2021. Sotto il profilo probatorio, ha rilevato che l’impugnante non aveva fornito alcuna prova della falsità della posta rettificata: non è stata neppure prodotta la fattura relativa al credito preteso e il semplice richiamo all’iscrizione storica non costituisce dimostrazione sufficiente.

La documentazione presentata dalla società, invece, ha evidenziato come, a seguito della chiusura dell’appalto e della certificazione dei 160 SAL da parte del general contractor, l’unico importo ancora da fatturare fosse quello relativo al SAL 160, pari a euro 471.584. Ne consegue la legittimità dello stralcio della posta di circa 2,12 milioni e della sua imputazione a conto economico come sopravvenienza attiva. A sostegno di tale operazione il Tribunale richiama anche la nota integrativa, che illustra la variazione in conformità all’art. 2423-bis, comma 1, n. 6, c.c., garantendo una rappresentazione fedele della situazione patrimoniale a fine appalto.

Viene così meno il presupposto della non veridicità del bilancio, con conseguente irrilevanza della doglianza relativa all’abuso di maggioranza: non è emerso né un uso distorto del voto, né un ingiustificato pregiudizio della minoranza.

Conclusioni

Nel caso di specie, la sentenza ha convalidato la decisione degli amministratori di imputare la posta stralciata a conto economico come sopravvenienza attiva. Questa scelta contabile, lungi dall’essere arbitraria, è stata ritenuta legittima in quanto ha riallineato il bilancio a una situazione economica reale. La valutazione delle sopravvenienze attive e passive rientra nella discrezionalità tecnica degli amministratori. Tale discrezionalità, tuttavia, non è illimitata e deve essere esercitata nel rispetto dei principi contabili e della sostanza economica delle operazioni. Il giudice interviene solo per verificare che tale scelta non sia stata arbitraria, illogica o finalizzata a celare una situazione finanziaria deteriorata.

Il Tribunale ha infine escluso la sussistenza di un abuso di maggioranza. Tale vizio, infatti, si configura solo quando la delibera, pur formalmente conforme alla legge e allo statuto, venga adottata con finalità estranee all’interesse sociale, mirando esclusivamente a danneggiare la minoranza o ad attribuire un indebito vantaggio ai soci di maggioranza. Non è sufficiente che la decisione comporti un effetto sfavorevole per un socio: è necessario dimostrare l’esistenza di un intento pretestuoso o vessatorio, estraneo alla logica aziendale.

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