- Pubblicato daSegreteria Team-Works
- -Gennaio 24, 2025
- -Valutazione d'Azienda e Operazioni Straordinarie
L’affitto d’azienda nel concordato preventivo e nella liquidazione giudiziale tutela creditori e occupazione, ma richiede stime di congruità razionali e indipendenti.

Affitto d’azienda nel concordato preventivo
Nel concordato preventivo, la continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso.
L’alienazione e l’affitto di azienda, di rami di azienda e di specifici beni autorizzati dal giudice delegato sono effettuate tramite procedure competitive, previa stima ed adeguata pubblicità.
Affitto d’azienda nella liquidazione giudiziale
L’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente non scioglie il contratto di affitto d’azienda, ma il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che sarà insinuato al passivo come credito concorsuale.
Anche prima della presentazione del programma di liquidazione, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza l’affitto dell’azienda del debitore a terzi, anche limitatamente a specifici rami, quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa.
La scelta dell’affittuario è effettuata dal curatore sulla base di stima, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati. La scelta dell’affittuario deve tenere conto, oltre che dell’ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali.
La durata dell’affitto deve essere compatibile con le esigenze della liquidazione dei beni.
Il diritto di prelazione a favore dell’affittuario può essere concesso convenzionalmente, previa autorizzazione del giudice delegato e previo parere favorevole del comitato dei creditori.
La retrocessione alla liquidazione giudiziale di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2112 e 2560 del codice civile. Ai rapporti pendenti al momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla sezione V del capo I del titolo V.
Valutazione di congruità dell’affitto d’azienda
Indipendenza
Condizione necessaria e imprescindibile per la valutazione di congruità dell’affitto è l’indipendenza dell’esperto valutatore nei confronti della società, in quanto la relazione assume funzione informativa e di garanzia nei confronti dei terzi.
Preliminarmente all’accettazione dell’incarico, il professionista estimatore deve pertanto, verificare l’insussistenza di eventuali cause di incompatibilità o potenziali minacce alla propria indipendenza, ed in particolare:
a. di non essere legato all’impresa né a coloro che hanno interesse all’operazione di affitto da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio;
b. di non trovarsi in una situazione di cui all’art. 2399 del codice civile;
c. di non avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore della società ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo della stessa.
Caratteristiche della valutazione
La valutazione è un giudizio ragionato e motivato che si fonda su stime; non è mai il risultato di un mero calcolo matematico; non è un dato di fatto, ma una stima di una specifica configurazione di valore riferita ad una specifica attività ad una specifica data, tenuto conto della specifica finalità della stima. Qualsiasi valutazione richiede una dose significativa di giudizio da parte dell’esperto.
L’opinione di valore cui giunge l’esperto deve essere:
a. razionale, nel senso che la valutazione deve seguire uno schema logico rigoroso, convincente e fondato su principi di razionalità economica;
b. verificabile, nel senso che il processo valutativo deve poter essere dimostrato con riguardo alla provenienza dei dati utilizzati, all’attendibilità delle fonti, alla ragionevolezza delle ipotesi assunte, alla correttezza dei passaggi logico matematici alla base dei calcoli, alla ragionevolezza delle conclusioni;
c. coerente, nel senso che l’esperto deve garantire la corrispondenza più ampia possibile fra base informativa, obiettivi della valutazione e risultati conseguiti, compatibilmente con la natura dell’incarico ricevuto;
d. affidabile, nel senso che l’esperto deve circoscrivere, nei limiti del possibile, la discrezionalità valutativa.
Primo step: analisi fondamentale
In ogni valutazione, il primo passo riguarda l’analisi del contesto di settore in cui opera la società, poiché non è possibile valutare in modo corretto un’impresa semplicemente applicando delle formule a delle grandezze ma è necessario collocare la stessa all’interno di un ambito macroeconomico e nel settore specifico in cui opera; solo in questo modo le grandezze prese a riferimento per determinare il valore di una azienda possono essere adeguatamente elaborate, ponderate e analizzate.
Secondo step: il canone di break even
Il potenziale locatore può valutare l’affitto quale alternativa alla gestione diretta dell’azienda, per la durata della locazione. A tal fine non si propone in realtà di individuare un canone “congruo”, che costituisce un concetto finanziariamente indefinito, bensì un canone “minimo” di break even, una soglia di indifferenza al di sopra della quale l’affitto dell’azienda risulta preferibile rispetto alla gestione diretta. L’individuazione del canone minimo richiede, innanzitutto, una stima del valore attuale dei flussi di cassa netti che si otterrebbero dalla gestione diretta dell’azienda lungo la durata dell’eventuale contratto di affitto. Il canone di break even è ottenuto eguagliando il valore attuale dei canoni al valore attuale dei flussi attesi dalla gestione diretta.
Per la determinazione del canone minimo di break even viene applicata la seguente formula, che eguaglia il valore attuale dei canoni al valore attuale dei flussi attesi dalla gestione diretta:
Sostituendo i due membri l’equazione diventa la seguente:
Terzo step: il canone congruo
In alternativa, secondo una impostazione relativamente consolidata in dottrina, il canone “congruo” sarebbe stimabile moltiplicando il valore del capitale economico dell’azienda oggetto dell’affitto, o il suo valore d’uso, per un tasso di remunerazione che compensi il locatore per lo spossessamento temporaneo delle condizioni produttive che costituiscono l’azienda. In questo caso, le variabili da considerare riguarderebbero il valore dell’azienda e il tasso di remunerazione ad esso applicabile.
Circa il saggio in questione, va evidenziato che esso andrebbe quantificato in relazione all’alea sopportata dal locatore, che dipende da una pluralità di fattori quali il rischio operativo, il livello di solidità del conduttore e le garanzie da esso prestate. Pertanto, la grandezza oggetto di analisi può attestarsi a un livello non lontano dal free risk rate nel caso che il rischio operativo sia contenuto e, soprattutto, il conduttore abbia una notevole solidità patrimoniale. In tale situazione, il locatore matura crediti per canoni nei confronti dell’affittuario caratterizzati da un livello di rischio molto basso talché il tasso da utilizzare non può discostarsi in modo significativo dal saggio privo di rischio. Al contrario, qualora il rischio operativo sia elevato e, soprattutto, il conduttore presenti elementi di difficoltà da un punto di vista di solidità patrimoniale, aumenta in modo rilevante l’alea gravante sul locatore. In tale situazione, il locatore matura crediti per canoni verso l’affittuario contraddistinti da un grado di rischio elevato talché il tasso da utilizzare tende ad avvicinarsi al costo del capitale dell’azienda oggetto d’affitto.
Il canone di locazione non può essere determinato applicando un saggio maggiore del costo del capitale perché – in situazioni normali – supererebbe i redditi attesi dal conduttore e, quindi, non vi sarebbe nessuna convenienza a gestire l’azienda.
In sintesi, il tasso di rendimento impiegabile per quantificare il canone di locazione può oscillare in un intervallo nel quale l’estremo inferiore è il tasso privo di rischio, mentre l’estremo superiore è il costo del capitale che, per semplicità, può essere determinato sulla base di dati medi settoriali.
Le osservazioni svolte evidenziano che il canone di locazione è difficilmente determinabile in astratto senza considerare le caratteristiche del conduttore. Infatti, non è possibile raffrontare la situazione di un affitto formalizzato con un soggetto caratterizzato da significative capacità gestionali e notevole solidità patrimoniale rispetto a un’altra nella quale il contratto venga stipulato con una controparte finanziariamente fragile e, per di più, con modeste competenze.
Ciò premesso, da un punto di vista operativo, è possibile ipotizzare due distinti scenari:
– il proprietario si accolla esclusivamente il rischio di mancata riscossione dei canoni;
– il proprietario si accolla anche l’alea derivante da eventuali variazioni negative di valore dell’azienda attribuibili a cattiva conduzione da parte dell’affittuario.
Nel primo caso, l’affitto di azienda è assimilabile a un’operazione di finanziamento nella quale il capitale prestato è il valore dell’azienda e i canoni rappresentano la remunerazione periodica assegnata al locatore. In altre parole, è come se il proprietario prestasse alla controparte una somma di denaro (valore iniziale dell’azienda) e ricevesse una serie di remunerazioni periodiche (canoni) e, a conclusione del periodo di riferimento, la restituzione del capitale (valore finale dell’azienda). È evidente che tale situazione si verifica solamente se il capitale restituito (valore finale azienda) equivale a quello prestato (valore iniziale azienda).
In tale situazione, la formula applicabile per determinare il canone è: C = iW
Dove:
C è il canone d’affitto;
i è un tasso che riflette il rischio di inadempimento della controparte;
W è il valore dell’azienda.
Il valore dell’azienda (W) può essere calcolato secondo le metodologie accreditate in dottrina e nella pratica professionale che, con particolare riferimento alle procedure concorsuali, sono state oggetto di approfondimento anche dal CNDEC che ha pubblicato un documento al riguardo.
Il saggio “i” può essere determinato facendo riferimento, in via preliminare, al tasso free risk, al costo medio del debito dell’azienda oggetto del contratto d’affitto o al costo del capitale dell’azienda oggetto d’affitto.
Esemplificazioni
Nell’ipotesi di affitto interamente garantito, il rendimento può essere equiparato al rendimento dei titoli di Stato di pari durata (es. 3% annuo). Quindi:
W: 1.000.000
i: 3%
C: 30.000,00
In questo caso, in mancanza di rischio di credito, un canone di affitto congruo potrebbe ammontare a circa euro 30.000,00.
In mancanza di garanzie, a titolo esemplificativo può essere identificato il tasso di rendimento medio per il mercato italiano stimato dal Prof. Pablo Fernandez per l’anno 2024 (Rf + MRP = 9,7%).
In questo caso:
W: 1.000.000
i: 9,7%
C: 97.000.00
Il tasso di rendimento atteso aumenta in proporzione all’aumento del tasso di rendimento (rectius: di rischio) per la società. Tale tasso dovrà essere determinato in funzione dell’analisi fondamentale e del contesto economico aziendale e complessivo, affinché possa essere accettato dall’affittuario, anche in termini di sostenibilità economica.
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