Cancellazione società: crediti senza rinuncia automatica
Le Sezioni Unite affermano che la cancellazione societaria non estingue automaticamente i crediti non iscritti in bilancio: serve prova di rinuncia espressa e comunicata.
TeamWorks | Un team di professionisti presente su tutto il territorio
Le Sezioni Unite affermano che la cancellazione societaria non estingue automaticamente i crediti non iscritti in bilancio: serve prova di rinuncia espressa e comunicata.
Il credito postergato del socio resta tale anche se esce dalla società.
Le startup innovative 2025 sono una leva fondamentale per l’economia digitale e tecnologica del nostro Paese. Regolate dal D.L. 179/2012, rappresentano una forma societaria agevolata, rivolta a imprese ad alto contenuto innovativo. Il legislatore ha previsto per queste realtà una serie di semplificazioni e vantaggi fiscali, contributivi e societari, confermati e ampliati anche per il 2025.
La Cassazione ha confermato che i contratti bancari privi di data certa non sono opponibili al fallimento e che neanche gli estratti conto possono valere come prova del credito.
Il tribunale, su denunzia ex art. 2409 c.c., ha revocato l’amministratore per gravi irregolarità gestionali, nominando un curatore speciale e un amministratore giudiziario.
Una società, subentrata per fusione, ha proposto ricorso per cassazione, ma l’intimata ne ha eccepito l’inammissibilità poiché estranea al giudizio di merito originario.
La Corte Costituzionale chiarisce che i soci di società semplice devono essere convocati anche nel giudizio sulla fallibilità della società per garantire piena difesa.
Il Consiglio di Stato ribadisce che l’equivalenza tecnica non legittima offerte aliud pro alio: valutazione discrezionale ma conforme a ragionevolezza e progetto di gara.
Nota a Tribunale di Verona, 10 giugno 2025, Pres. Attanasio – Est. Lanni di Marco Cavaliere Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Verona si esprime su una questione di particolare rilevanza sistematica nel quadro applicativo della composizione negoziata della crisi, offrendo una lettura rigorosa e coerente con la finalità istituzionale dell’istituto delineato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Nell’ambito di un procedimento di reclamo proposto ai sensi dell’art. 19, comma 7, CCII, avverso l’originario diniego di conferma delle misure protettive ex art. 18 CCII, il Tribunale ha ribadito che la conferma delle misure protettive è subordinata alla presenza di un piano concretamente orientato al risanamento dell’impresa, non potendo invece essere accordata in presenza di soluzioni meramente liquidatorie, ancorché idonee a garantire un miglior soddisfacimento dei creditori rispetto alla liquidazione giudiziale. 1. Il caso concreto: da un’impostazione liquidatoria alla prospettiva di risanamento L’originario diniego alla conferma delle misure protettive era stato motivato dalla constatazione che il piano allegato dall’impresa istante si risolveva in una ristrutturazione dei debiti priva di reali prospettive di continuità, evidenziando un’impostazione sostanzialmente liquidatoria. Nel corso del procedimento di reclamo, tuttavia, l’impresa ha prodotto nuovi elementi documentali, tra cui un’offerta irrevocabile da parte di un terzo soggetto (già comproprietario dell’immobile aziendale), avente ad oggetto:– l’accollo liberatorio di debiti per oltre € 48.000;– un apporto di finanza esterna pari a € 165.000;– l’acquisto dell’intero capitale sociale della reclamante, con contestuale subentro nella gestione dell’attività imprenditoriale. Tali elementi, unitamente alla revoca delle precedenti ipotesi di liquidazione patrimoniale e alla produzione della procura per la cessione delle quote, sono stati ritenuti sufficienti dal Tribunale per ritenere effettivamente configurato un progetto volto al risanamento dell’impresa, giustificando pertanto l’accoglimento del reclamo e la conferma delle misure protettive richieste. 2. La conferma delle misure protettive è possibile solo in funzione del risanamento L’insegnamento che promana dal provvedimento in esame è chiaro: le misure protettive non sono uno strumento disponibile per ogni percorso negoziale, ma esclusivamente per quelli che si fondano su una ragionevole prospettiva di risanamento aziendale. La composizione negoziata – sin dalla norma di accesso (art. 12 CCII) – si caratterizza per la necessaria presenza di concrete possibilità di riequilibrio economico e finanziario dell’impresa. Tale orientamento è confermato anche dall’art. 21 CCII, che, nel disciplinare la gestione dell’impresa durante le trattative, richiama espressamente la perseguibilità del risanamento, nonché dall’art. 19, comma 2, lett. d), che impone all’imprenditore il deposito di un “progetto di piano” dotato di requisiti contenutistici indicati dal D.M. 21 marzo 2023, chiaramente ispirati alla continuità aziendale. Né può ritenersi in senso contrario che l’esito della composizione negoziata possa eventualmente sfociare in un concordato semplificato a prevalente contenuto liquidatorio (art. 23 CCII). Come opportunamente osservato dal Collegio veronese, anche tale esito è subordinato all’accertata infruttuosità di trattative svolte in buona fede e nel presupposto della ragionevole percorribilità di soluzioni conservative, di talché l’eventualità liquidatoria rappresenta una conseguenza patologica, non una alternativa strutturale. Del tutto irrilevante, pertanto, si rivela – nella logica della composizione negoziata – la semplice comparazione tra il risultato ipotetico del piano e quello derivante dalla liquidazione giudiziale. Il miglior soddisfacimento dei creditori, in assenza di una progettualità idonea a consentire la prosecuzione dell’attività, non legittima l’attivazione o la conferma delle misure protettive. 3. La funzione delle misure protettive nel sistema del Codice della crisi Le misure protettive previste dall’art. 18 CCII, sebbene configurate come uno strumento accessorio e temporaneo, svolgono una funzione essenziale nel garantire la stabilità del perimetro negoziale entro il quale si svolgono le trattative tra debitore, esperto e creditori. Tuttavia, tale protezione giuridica, che si sostanzia nel divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari, nonché di acquisire diritti di prelazione non concordati, non può essere concessa a supporto di mere strategie di dismissione patrimoniale, pena lo snaturamento della finalità istituzionale dell’istituto. Il provvedimento in esame riafferma dunque un principio sistemico fondamentale: le misure protettive sono giustificate solo quando funzionali alla salvaguardia del valore aziendale in quanto tale, e non semplicemente alla tutela di interessi creditori ritenuti in via comparativa meglio soddisfatti.
Il Tribunale di Milano chiarisce che l’impugnazione di delibere sul bilancio non può essere sottratta al giudice, e respinge l’accusa di abuso di maggioranza